Luigi Ambrosetti oggi è riconosciuto dal pubblico come street artist, nel proprio quotidiano trascorrere dipingendo figure, narrando storie sui muri metropolitani della nostra capitale. Luigi Ambrosetti alias Lac 68, vive e lavora nel suo studio nella periferia di Roma, straboccante di opere già realizzate, molte accantonate, racchiuse in scatoloni, arrotolate nei cesti. Altre appoggiate in mostra su cavalletti ma chissà da quanto tempo, sulle quali ha iniziato una nuova sperimentazione: lavori di pittura di un gusto kitsch ritrovate nei cassonetti di antichi paesaggi di ispirazione ottocentesche e che Ambrosetti aggiorna inserendo in trame preesistenti elementi ironici o comunque collegati al suo mondo personale. Egli si esprime con mezzi e tecniche molto diverse tra loro: disegni su carta, olio su stoffa, olio su tela, collages, frottage, installazioni minimali o dalle dimensioni enormi. I supporti che utilizza variano pertanto da quelli più usuali come la classica tela ma più facilmente sono pezzi recuperati dalla strada o materiali scartati regalati da artigiani della zona. Camminando tra un quadro e una scultura in legno -realizzata con la sua motosega- mi ritrovo nella cucina, accanto alla sua camera ove sul letto sono ammassati libri e due borsoni belli pieni, come in attesa di partire per una meta non ancora stabilita. Una vecchia Singer con cui cuce borse che attirano la mia attenzione e accanto alcuni disegni su stoffa pronti per essere cuciti e di cui me ne faccio promettere una in regalo. Ogni opera assume diverse connotazioni rispetto ad un’altra, in una varietà di espressione e una padronanza di stili che mi lascia incantata e addirittura confusa. I numerosi lavori infatti, così riuniti tutti assieme e disordinatamente distribuiti, non corrispondono ad un produzione coerente ma bensì attraverso di essa è possibile leggere continui passaggi da una tecnica all’altra ma sempre rivelando di queste una profonda conoscenza, come se ognuna fosse l’unica e la sola da sempre esercitata. Luigi Ambrosetti si cimenta anche nel disegno su carta, con inaspettata leggerezza e rapidità nel tratto che accentua sulle piccole dimensioni delle pagine di piccoli taccuini e di quadernini, sparsi qui e là tra i mobili di una cucina vissuta. Altre volte Luigi Ambrosetti cambia stile e supporti e il suo lavoro diventa frutto di un laborioso esercizio manuale le cui creazioni non intendono riproporre un rapporto di mimesi con la realtà ma piuttosto contagiarla della peculiare o opposta volontà del dirigersi altrove, per lasciarsi coinvolgere da tutte le variabili rappresentative che egli mette in gioco in quel momento. L’unica cosa che sembra accumunare le diverse sperimentazioni stilistiche del tratto e nel cangiante utilizzo dei supporti come dei materiali è la generosità con la quale l’artista si avvale nell’utilizzo del colore sempre saturo, difficilmente rarefatto, luminoso e sgargiante di luce propria quando non si tratta di smalti né di olii: sia quando dato come sfondo che nel completamento di composizioni astratte figurative come nei bianchi e neri quando a matita la cui resa infatti ha una intensità e una matericità tali da sembrare un carboncino. (…)
Miriam Castelnuovo