L’EVOLUZIONE DELLA PROPRIA MEMORIA
Mauro Di Silvestre è un poeta che sostituisce il senso delle proprie parole con una poetica personale, fatta di materia, colore, di ricordi e riflessioni. I suoi lavori sembrano scaturire dalle illustrazioni di un romanzo familiare, colmo di significati volutamente nascosti dietro un apparente ordine didascalico in cui esemplifica i contenuti. Di Silvestre si può dire artista astratto a chiave figurativa, considerato che è proprio il suo pensiero unito alla forza delle proprie idee a dettare le coordinate strutturali dei suoi lavori, nel raggiungimento immediato delle forme-simbolo di certi affetti tessuti, come trama intensa di un racconto breve. Non interessa quale sia la sua percezione quotidiana della realtà: egli interpreta e comprende ciò che vive al di fuori e lo traduce in presenza concreta, ponendolo al centro nei propri lavori. Nel momento della agnizione in Di Silvestre riaffiora tutto il suo mondo interiore, ripulito da ogni residuo di contingenza. L’esperienza fondamentale sta nella relazione tra noi e ciò che ci circonda: il mondo delle cose ne ha presa solida e regola il palcoscenico delle esistenze, visualizzando i sistemi che storicamente e psicologicamente determinano il nostro rapporto col mondo esterno ed il nostro modo di sperimentarlo. Immaginiamo adesso la tela ancora scomposta nella testa dell’artista ma secondo un personale ordine geometrico: Mauro trasforma i propri valori secondo ardite sequenze, dal piano compositivo al piano cromatico, egli estende la matericità del colore a contrasto con diversi brevi episodi, in cui concentrandosi sul dettaglio della narrazione, guarda al particolare con accenti coloristici.
Mauro Di Silvestre in questo modo svela il ricco bagaglio conoscitivo della pittura romana del segno, rendendo il proprio linguaggio pittorico iniziale -basato sui gesti e non sulle parole- più efficace e più eloquente. Egli decide di tradurne il contenuto in espressioni che superano l’immediata bidimensionalità dei soggetti, approdando in una resa immaginaria costruita su ben più ariose volumetrie, volutamente lontane dalla staticità indotta e propria di atmosfere metafisiche.
Nei suoi lavori è l’ambiente spesso a sopraffare lo spettatore invadendo insieme ad esso lo spazio antistante l’opera, per richiederlo in prestito temporaneamente. In questo modo, il racconto a cui l’artista dedica solo qualche riga di introduzione, riscopre l’intero significato solo al di là, oltre la sua stessa struttura, per appropriarsi finalmente di quella quarta parete, reale, dove narrarne la conclusione. Le storie che si raccontano nei lavori di Mauro Di Silvestre parlano spesso di personaggi privi di interlocutore fino a quando non si inseriscono nell’ambiente divenendone parte complementare. Facile intuire come nella mente di Di Silvestre le superfici piatte e vuote delle tele si trasformano con andamento ritmico e sentimentale: in esse egli trascrive propri stati d’animo dapprima erratici, radicandoli secondo il proprio ritmo visivo e cromatico che gli è dato in quell’istante. L’artista è finalmente libero di aggregare simboli e forme oggettuali e concettuali, come le tessere di un puzzle o le tappezzerie damascate di alcuni suoi lavori. I luoghi in cui abitano i soggetti delle tele sono l’espressione più semplificata di rapidi, seppur complicati, passaggi mentali che prendono corpo tra rarefazioni di addensamenti segnici, laddove gli unici protagonisti si scorgono come assorbiti dal loro ambiente a voler sottolineare il rifiuto del contesto in cui si trovano e dunque negando la propria esistenza. Altre volte Di Silvestre, in coerenza stilistica con le scivolate segniche dal tratto volutamente libero, al contrario intende delineare gli oggetti e l’ambiente che questi abitano, in perfetta coesistenza tra loro, spesso quali simboli precisi di cose e di luoghi già esistiti in un tempo non troppo distante. Sono ambienti al primo impatto caldi e familiari come quei luoghi vissuti in età precoce, ma sono anche di dubbia autenticità quando l’artista stesso vi si appella con inequivocabile urgenza, dopo averne caratterizzato l’instabilità spaziale dove narrare cose ancora mai dette. Mauro Di Silvestre opera in totale coinvolgimento emozionale e fisico per cui è proprio la consapevolezza della propria memoria a suggerirgli il resettare di alcune immagini da sostituire simultaneamente con delle icone: come il giocattolo per antonomasia “Il cavalluccio a dondolo” o i luoghi descrittivi come i palcoscenici svuotati dalla scena, immaginarie costellazioni di incontri e di addii, di responsabilità prese e di abbandoni. Tutto viene restituito nell’uso del colore evocativo dell’infanzia e della lontananza ma perfettamente riconducibile nel hic et nunc. Così come un poeta latino ha fermato per sempre il tempo nelle parole stampate di un libro, così Mauro Di Silvestre realizza sulle tele le icone del suo tempo: questi addensato in ogni singola immagine e senza ordine di successione, rivela adesso tratti familiari – come l’autoritratto in cui l’artista coglie se stesso seduto sul divano accanto al suo bambino – oppure predilige scorci la cui prospettiva tracciata dal basso verso l’alto, si traduce tra i simbolismi di questa società contemporanea. Il retaggio culturale dell’uomo si intreccia al nuovo percorso intrapreso dall’artista, trovando una momentanea sintesi storica proprio lì, su quelle tele. Ma perché “momentanea”? Così come anche la quarta parete in cui si racchiude e conclude il racconto di Mauro Di Silvestre – altrimenti soltanto introdotto – si è detta presa “in prestito temporaneamente”? L’artista non può concedersi sospensione alcuna rispetto al tempo e al suo inevitabile trascorrere. Mauro non può neanche ignorare il luogo in cui questo si consuma e i suoi quadri ne sono la prova inconfutabile: in essi si scorge la tensione creatasi tra lui e l’opera finita e tra questa e il bagaglio da cui ne ha tratto l’origine. I suoi lavori sono il risultato di ciò che resta di un’esistenza individuale a confronto di un tempo assoluto.
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Questo è inoltre quel ciclo vitale da cui Di Silvestre trae gli input per ragionare su una nuova realtà che muta di continuo, nel suo evolvere: egli continua a porsi domande, a sollevare dubbi e trova infine le soluzioni nel moto perpetuo del suo operare.
Il suo racconto diventa adesso un romanzo giallo la cui forza narrativa consiste in un finale imprevedibile e soprattutto che non sarà mai uguale a se stesso.
Mauro Di Silvestre conclude la sua opera, la firma come fosse una dichiarazione scritta per cui diversificarsi da coloro che si accontentano di rappresentare il tempo ritrovato.
Egli piuttosto sceglie di investigare quel tempo perduto di cui forse non ricorda nemmeno più il sapore, ma il cui pensiero provoca in lui ancora stimoli profondi che lo inducono ad esplorarne la memoria stessa, temporaneamente.
Miriam Castelnuovo