Disconnected dreams. Anime sospese
Il titolo di questa personale di Tiziana Rinaldi trae in parte spunto dall’omonimo lavoro per la prima volta allestito con una lieve e intenzionale sospensione da terra, su di quest’enorme pavimento ghiacciato, che altri non è che la magnifica pista di pattinaggio dell’Axel-Roma, riconosciuta per le sue dimensioni olimpioniche come la più grande della capitale.
Nel condividere reciprocamente quest’esperienza sino ad ora mai realizzata, è un dato importante sottolineare come la ricerca stilistica di Tiziana Rinaldi abbia scelto quale elemento qualificante per ogni lavoro esposto, il colore Bianco, sinonimo di purezza e di apertura verso successive interpretazioni di ogni genere, quale l’embrione di tutte le possibilità.
Fu così già un secolo fa, quando Kazimir Malevich dipingento Suprematist composition: White on white” Composizione suprematista: Bianco su bianco (?1918), commentando la sua intenzione di raccontare il proprio mondo “oggettivo” partendo da una composizione dal colore bianco, finì per rivelarne quello ancor più soggettivo del sentimento. Tiziana Rinaldi crea hic et nunc quello che si definisce un proprio spazio, la propria-altra dimensione che le viene suggerita dall’interno in uno stato che lei stessa ha definito di trance. Eppure l’artista prosegue lavorando in un severo analizzarsi, nel sostenere come il suo soggettivo debba e possa essere l’oggettività di coloro che lo vogliano cogliere, soffermandosi con personale percezione su questo stesso Universo che sappiamo appartenere a tutta l’umanità. (Un’esistenza invisibile).
Anche a quella meno attenta.
Dunque in perfetta armonia con l’ambiente in cui siamo ospitati, immaginiamo che gli elementi dipinti sulla tela subiscano un congelamento con il risultato di trasportare la narrazione di una situazione reale ma di sospensione metafisica abitata dalle anime sospese di “Disconnected Dreams”. Essa appartiene ad un iter già meticolosamente segnato nella Storia dell’Arte ma che adesso riscontriamo nuovamente percorribile e interagibile, tutte le volte lo si desidera. Tuttavia in modo quasi inconsapevole, esattamente come in un sogno interrotto, si è obbligati ad arrestare il proprio cammino per assecondare quel percorso obbligato che Tiziana Rinaldi ha intenzionalmente segnato nel collocare la sua scultura quale il fulcro di questa emblematica scenografia dell’essenza-assenza: l’assenza di quel pensiero che sottende tutta l’opera ma che l’artista lascia in sospeso volutamente. Allo stesso modo, le sue figure sono intrise di un lirismo essenziale e intimo; decifrabile soltanto quando l’attenzione si concentri su quella leggerezza poetica di cui vive la composizione stessa. Tiziana Rinaldi parla nel suo lavoro di Sospensione Temporale tra ciò che è visibile e ciò che non lo è (Dittico Apnea) e in modo ricorrente abita le sue opere di presenze come anime sospese, le cui identità si rigenerano ad ogni istante. E’ la medesima essenza che superando la materia di cui son fatti quegli stessi corpi, si avvia verso un percorso inverso che dall’esperienza vissuta e viva, li trasforma in emblemi della memoria. Alcuni di questi episodi sono ispirati da racconti di vera cronaca nera che in tempo reale vengono diffusi dalla velocità dei media e di cui Tiziana ne intende denunciare la drammaticità. Ma l’artista non si accontenta di evocare un fatto contemporaneo dal forte e troppo facile impatto emotivo, ma piuttosto intende superare quel senso di impotenza che l’affligge nell’atto medesimo del descriverlo. Tiziana Rinaldi si pone la meta del superamento, va oltre con ambizione e compie la sublimazione di quel messaggio attraverso la storicizzazione dello stesso. L’opera si trasforma in testimonial immortale di un’epoca la cui memoria non sarà necessario andare a rispolverare tra le pagine di vecchi quotidiani: resterà per sempre viva, lì sotto gli occhi di tutti.
“Solo ad un osservatore attento l’opera si apre” e Tiziana Rinaldi con esplicito riferimento a Marcel Duchamp, realizza “Etant donnès aujourd’hui” mettendola a confronto con “Etant donnès”, l’ultima opera realizzata dal noto artista francese verso la metà del ‘900. Ma Tiziana stravolge i contenuti dell’opera originale presentando i suoi come emblematici di una contemporaneità più urgente, che non prende le distanze dalla realtà, svuotandola da ogni ruolo e da ogni contesto, ma la scruta per capirne ancora più profondamente le origini e di queste il significato. L’artista dunque prende spunto dal ready-made e dall’intento lucido e implacabile a cui sottende questa personale poetica del privare l’opera da qualunque espressione o corrispondenza creativa: Duchamp concede all’esteriorità degli oggetti che assembla un potere assoluto di invadenza, lasciando che essi occupino qualsiasi superfice o che ricoprano immagini preesistenti e senza che queste ne risultino arricchite di un nuovo significato per l’umanità. Espressioni paradossali, perché private di qualunque legame con il pensiero e lo spessore intrinseche al senso della vita umana.
Tiziana Rinaldi non accetta di Duchamp l’idea di esistenza come unica traccia di assenza. L’artista piuttosto comprende bene come l’annullamento del resto, coinciderebbe con la disumanizzazione della vita umana. Nell’opera “Etant donnès aujourd’hui” pertanto avviene un processo a ritroso: anche se il ricorrere generale nei suoi lavori a porte e a finestre è un chiaro riferimento di Tiziana all’opera di Marcel Duchamp, in alcuni casi ella realizza addirittura piccolissime fessure che create sulle tele, permettono all’occhio molto attento dello spettatore di restare ad osservare piccoli video senza interruzione, con lo scopo di far entrare direttamente dentro la storia dell’opera e non restando ad osservarla da una fessura a distanza, cosi come avveniva al Museo di Arte Moderna di Filadelfia per “Etant donnès” ove l’intenzione precisa era quella di separarne l’opera dal contesto abituale e di condurlo piuttosto in una dimensione il cui valore avesse un’accezione puramente estetica. Con Tiziana Rinaldi diversamente l’opera assume un ruolo determinante per l’uomo che nel rafforzarne la propria memoria lo conduce verso nuove associazioni di idee e probabilmente verso la soluzione di ulteriori quesiti sino ad ora restati in sospeso. In questo caso l’esteriorità così come concepita dal ready-made di Marcel Duchamp potrà assumere un significato non più fine a se stesso, ma come il tasto backspace di un computer, saprà riavvicinarsi al senso interiore delle cose e soprattutto a comunicarne delle altre; le superfici rimanderanno ai volumi e alle origini di quel percorso a ritroso costruttivo, che fin dall’inizio Tiziana Rinaldi ha potuto individuare come il proprio punto di partenza.
Essenza sta per natura, sostanza, fondamento. Valori fondamentali per un’esistenza la cui ragione troppo spesso si ricerca all’interno del proprio Dna, come soluzione per il raggiungimento di una piena armonia da perseguire ogni giorno e in modo mai uguale (L’altra coscienza). L’essenza di cui parla l’artista è qualcosa capace di raggiungere dritto il cuore, come diceva Patrik Suskind, riempendo quel vuoto che Paul Kandinsky chiamava bisogno interno e che solo il colore è in grado di colmare in tutte le sue sfumature. L’opera è per Tiziana Rinaldi qualcosa in cui ciascun fruitore può ritrovare se stesso, addirittura imparando a indagare nei meandri delle proprie incertezze. Essa è una presenza che occupa lo spazio circostante, di cui immediatamente si appropria -come l’artista di quello della tela- divenendone parte contingente in un tempo presente e immediato. Ma ne diviene già necessaria nel momento successivo, quando le si riconosce che quanto da essa è possibile comprendere, metabolizzabile, rintracciare, non dovrà andare dimenticato. Il gesto con cui Tiziana Rinaldi si avvicina alla tela nell’attimo della creazione, è il riaffermarsi inconsapevole proprio di quel coesistere semantico tra presenza e essenza nel superamento, sia mentale che fisico, di quella scansione spazio-temporale da lei citata (Settimo Senso): ogni cosa viene collocata e definita dal pennello in un tempo e uno spazio circoscritti. Presente, passato e futuro sono i tre elementi con cui scandiamo i nostri pensieri . Son anche gli unici riferimenti reali capaci di rivelarci l’ordine preciso di quanto abbiamo considerato prioritario nelle nostre vite fino a quell’istante. “Le mie tele sono come dei luoghi per me, dei luoghi sospesi tra la vita e la morte”. Esattamente come quel filo caduto per sbaglio sulla tela (La morte di un presente eterno) la cui sorte finirà per determinare qualcosa di egualmente sottile, scaturito da una simile delicatezza, che per il fruitore di quell’opera apparirà adesso più che mai, difficile da afferrare. Nel corpus dei lavori qui in mostra di Tiziana Rinaldi, non appare alcuna soluzione di continuità tra intuito e rappresentazione. Tutto è immediato, istantaneo.
Soltanto la distanza temporale, quella con la quale si prende atto che il tempo è trascorso, con i suoi vuoti a perdere : quelli lasciati lì da riempire con la forza del ricordo e della memoria. Soltanto questa potrà fungere da palliativo nell’accettazione di sentimenti dolorosi come dell’abbandono e della morte, spesso direttamente affrontati dall’artista per mezzo dell’autoritratto (Violence). Il presente, nell’opera di Tiziana Rinaldi, si rivela per primo a se stessa, in tutta la sua forza disarmante e coinvolgente, senza che vi emergano distinti elementi di lettura ma che per la stessa dirompenza, forza impulsiva, diviene un tempo condivisibile da lei stessa e da ciascuno spettatore ma in un modo sempre diverso e personale (Come sei veramente). Esattamente come la composizione di un brano musicale le cui note, pur composte dietro puro intuito, suonino già intonate fin dal primo solfeggio.
E’ un tempo presente e dunque come ci suggerisce la parola stessa, ancora cosciente, in attesa di essere commentato, vissuto, abitato e perfino toccato: è talmente vicino a noi, che Tiziana lo ha reso verificabile e in prima persona da coloro che vedendo l’opera in mostra, con l’uso delle proprie mani intenderanno attraversarne la fenditura. Nell’atto di raggiungere l’interno dell’opera ci si troverà in un a tu per tu con alcuni materiali, che modificabili al tatto, sapranno evocare sensazioni legate a ricordi lontani o crearne dei nuovi, per dare spazio a più intime sensazioni immaginarie (Memory).
Il passato, a cui è facile ricondurre il concetto di caducità delle cose, soprattutto quando assumiamo consapevolezza di averle perdute per sempre, si consolida nell’opera dell’artista come emblema di quella “Memoria” che resiste all’effimero, distinguendosi per quel suo valore immanente così come accade per lo scripta manent di noti esempi della letteratura che restano attuali nonostante il trascorrere di molti anni e addirittura di secoli.
Tiziana Rinaldi è come se si servisse della sua pittura per traslare l’idea di passato in quella dell’essenza e del saperla renderla immortale in quanto comunque-riconducibile. Esattamente come quando si cerca di trattenere nelle narici un profumo la cui scia rammenta la presenza di una persona ormai lontana, con la speranza di riviverne il ricordo almeno per quel breve lasso di tempo. Questo superamento della realtà spazio-temporale, per cui ogni cosa viene collocata e definita attraverso un tempo e uno spazio circoscritti – condizione da cui Tiziana Rinaldi sogna da sempre di affrancarsi- è possibile comprenderlo avvicinandosi al concetto di Zen di “tempo esploso”. L’artista infatti è come se operasse un simile distacco dal tempo in uno stato di abbandono totale, nel rispetto biologico in cui si distingue il Prima da un Dopo e che con la stessa naturalezza influenza il nostro approccio alla vita, non sempre libero.
Libertà spesso è sinonimo di solitudine: ci si sente finalmente liberi quando si è soli. Simbolicamente ci si può riferire alla rappresentazione di tante porte: chiuse, schiuse, semi aperte, come ulteriori elementi presenti nell’opera di Tiziana Rinaldi. E’ sufficiente chiudere la porta dietro di noi per dare una fine a qualcosa: la porta chiusa crea una rottura definitiva, dolorosa quando una separazione, rigenerante quanto l’agognata liberazione. Tiziana Rinaldi in un suo quadro parla direttamente di “Settimo” Senso e del suo desiderio del “passarci attraverso” per indagarne l’emozione direttamente dall’interno e non soltanto dal di fuori mentre ci lavora. E’ da chiedersi se oltre alla vista, al tatto, all’olfatto, al gusto, all’udito e al Settimo Senso di quel passare attraverso, l’artista abbia lasciato all’intuito dei suoi spettatori la risposta per quel Sesto Senso non dichiarato.
“Ho provato a immergermi”; “Volevo immergermi ogni volta che ne avevo voglia”;
“(…) immergermi in quel luogo di cui ti ho parlato”; “(…) quindi immergermi in quel luogo”.
Per immergersi bisogna saper chiudere la bocca se non si vuole affogare e per lo stesso motivo non si deve respirare per evitare che l’acqua entri nelle narici; bisogna saper compensare con le orecchie cercando di ostruirne il passaggio dell’acqua, per lasciarsi andare giù; sempre più giù, senza sentire alcun dolore.
Gli occhi si aprono e si chiudono con naturalezza: dipende soltanto da noi, esattamente come quando si vive in superficie.
Tiziana Rinaldi sogna di immergersi: un gesto che le consente di esercitare tutti i sensi esasperandoli ma in un’unica, solitaria, accezione positiva. Un modo di vivere appieno una seconda dimensione di riserva rispetto a quella quotidiana. L’artista inaugura questo espediente inedito nella Storia dell’Arte che le permette di rigenerarsi virtualmente da dentro i suoi lavori ogni volta che lo desidera, regalandosi una dimensione creativa sempre diversa.
Assecondando quel ritmo del tempo che passa, è possibile perfino scoprire di volersi bene senza soluzione di continuità.
Miriam Castelnuovo