DIROTTAMENTI SPERIMENTALI
Stefano Branca nei suoi lavori supera volutamente quella netta separazione semantica tra figurazione e astrazione, ponendo se stesso su un piano di riflessione basata sull’unica esperienza possibile del mondo e sulla potenziale resa oggettiva che da questa ne risulta. Egli riesce ad elaborare degli originali cromatismi per cui dai suoi lavori affiora una particolare densità poetica ed espressiva: superata l’idea di immagine come apparenza, l’artista preferisce concentrarsi sullo spazio pittorico, vissuto coerentemente come l’esemplificazione di una personale trazione emotiva. La materia si appropria delle superfici in tutta la sua esuberanza, attraverso le differenti tonalità cromatiche, prendendo lentamente forma su campiture assolutamente neutre, che nel contrastarla ne sottolineano il valore intrinseco, esaltando oltremodo le risonanze concitate del segno e della gestualità.
L’impianto strutturale sul quale Branca elabora i suoi concetti, risulta comunque esemplificato nonostante la percezione di impulsi che corrispondono a più ampie e personali problematicità: superfici essenziali, deferenti quanto la materia da cui sono ricoperte, poste in contraddizione con la febbrile convulsione del gesto che dell’opera tormenta i propri nuclei vitali, sono infatti determinanti della condizione emozionale propria dell’artista. Stefano Branca nasce come un artista poliedrico, che da sempre ama lavorare con diversi materiali – lamiere, ferro, vetro, legno, tela, carta e cartoncino – e con essi procedere verso una resa polimaterica per cui esaltare esempi costruttivi, seppur liberi e rigorosi allo stesso tempo, sempre tesi al raggiungimento di un’armonia il più possibile congeniale ai propri slanci vitalistici. Oggi questo artista sembra avere acquisito una maggiore sicurezza nel suo semplice istinto creativo e dunque, lo si riscopre ironico, attratto da diverse tecniche, frutto di personali sperimentazioni, che gli permettono di usare colori densi di luminosità, scanditi da ritmi continui e aggrovigliati, come fossero parole di un discorso frammentato che poi si vada ricomponendo in un unico spazio solare. In Branca permane un senso dello spazio appunto libero, mai chiuso in sé, seppur talvolta labirintico e puntualmente contrappuntato da dei segni ora forti ora più lievi, ora dati in modo lineare ora convergenti verso un centro immaginario, di natura strettamente mentale. Nei lavori più recenti, il segno che compare più incisivo, traccia volutamente una traiettoria indelebile: una serie di “stazioni” cadenzate da un percorso che se ora rappresentato dal movimento di una pallina da golf, ne riflette uno più profondamente esistenziale, dell’incomunicabilità dell’uomo, le cui angosce restano isolate nei frammenti di questa ineffabile tensione. Il susseguirsi di fogli applicati uno accanto all’altro, od una sequenza di tele appositamente così strutturate, sono l’approfondimento incosciente ed istintivo del flusso della quotidiana esistenza di ciascuno di noi, prima ancora che dell’artista stesso. Isolate nella loro elegante essenzialità, accomodate in uno scenario che ignora il superfluo, ne sottolineano l’universalità dell’evento e non più la contingenza. Branca nei suoi lavori comunica comunque una passione irrefrenabile per ciò che fa, per ogni suo minimo movimento che gli conceda un risultato pragmatico e materico. Egli comunica attraverso l’arte la sua estrema semplicità, facendo così vibrare pochi segni sulle campiture monocrome, in certi casi già geometricamente strutturate dalla loro prevedibile appartenenza al “Green”, con tenui passaggi luministici atti a richiamare ulteriori speculari percezioni interiori: potrebbero definirsi le risonanze di un misticismo quasi laico, con il quale la materia si trasforma, creando un’immagine significante e autoriflessiva. Anche in questa serie di lavori in cui gli elementi appaiono rarefatti, Stefano Branca pare restare fedele al proprio lessico di appartenenza, nonostante l’evidente evoluzione minimalista, aggiornata sui propri tempi e sulle pause fluttuanti determinate dai singoli momenti compositivi. Alla base dei suoi lavori resta comunque la volontà di movimentare lo spazio, abbattendo la naturale conflittualità che sorge tra gli oggetti immaginari ed immaginati, che vivono nello spazio delimitato della tela. La simbiosi così ottenuta, permette finalmente un rapporto spontaneo tra la forma e luce che qui appare naturale, in una continua ricerca dell’allegoria, destinata di fatto ad infrangere quelle difficoltà di comunicazione che altrimenti finirebbero per sintetizzare erroneamente il diverso significato di tutta la produzione artistica di Stefano Branca. Sin dai tempi più antichi, le popolazioni d’oriente hanno saputo estendere dall’interno delle proprie scritture, le possibilità che l’uomo aveva di esprimersi anche attraverso l’arte. E’ evidente come dai lavori di Branca emerga la propria inesauribile necessità del ricercarne sempre un nuovo significato: egli si fa paladino della sperimentazione e in nome di questa, della libertà da canoni e dalle gerarchie prestabilite, come anche dagli stessi modelli suggeriti da tendenze codificate. Tuttavia si è parlato di una coerenza interiore, di un percorso attraverso cui Branca matura la propria identità, senza nulla lasciare al caso: i suoi lavori sono tutti legati tra loro come in un percorso – in un certo senso qui rappresentato dal segno nelle sue diverse traiettorie – a rappresentanza delle numerose esperienze, talvolta lontane nel tempo, ma non più stabilite da un puro valore stilistico e formale, bensì dall’intervento di Stefano Branca e dal significato che questo ne ha determinato. Nell’artista non vi è più un rapporto di superamento o di evoluzione tra un momento creativo e l’altro, ma è l’esperienza a diventare fondamento su cui basare il dispiegarsi del proprio operare, libero da vincoli e ricettivo nel suo mutare di genere e di linguaggio. La complessità della realtà apparente, trova la giusta risposta in tutta la sua produzione: la scelta, ponderata e funzionale all’idea, è determinata dal contesto in cui si trova l’artista e che di lui, in quel preciso momento, ne fa un pittore, uno scultore o un abilissimo disegnatore. Per Stefano Branca infatti, non esiste demarcazione alcuna tra esperienza esistenziale ed esperienza tangibile, tra esperienza esistenziale e quella estetica, tra natura ed artificio e tra la casualità e la ragione.
Su nulla possono influire la qualità intrinseca del linguaggio o la scelta sempre diversa del materiale: il senso complessivo di tutta la sua produzione, non risiede in un comportamento già determinato da tendenze del momento, ma da un coraggioso atteggiamento per cui egli affronta il mondo dell’arte con consapevole apertura e soprattutto affrancato da vincoli e incertezze.
Miriam Castelnuovo
L’OPERA DI STEFANO BRANCA
L’intera opera di Stefano Branca si configura come un fatto pittorico attraverso il quale l’artista intende stabilire un dialogo intenso con il mondo reale. Durante questo percorso, egli esplora il territorio del vago, del silenzio e dell’emozione, in contrasto evidente con il carattere rigoroso, preciso, spesso ossessivo nelle sue elaborazioni mentali: segue i presupposti delle forme, della spazialità, del movimento; porta la percezione sensoriale al livello della propria coscienza, senza per questo rifiutare il rapporto con la materia – pietra, ferro, acciaio, rame, plexiglass, cera, corda – e con gli oggetti, spesso testimoni esemplari dello sviluppo industriale. I suoi lavori sono la dimostrazione di una coesistenza parallela fra arte e scienza, vogliono dimostrare la possibilità del produrre un’arte non distante da metodologie scientifiche e dalle relazioni di qualità anche seriali: Branca si attiene a principi rigorosi, indaga la consistenza degli spessori delle lastre di acciaio e delle trasparenze cristalline del vetro. Il suo processo di realizzazione geometrica si concretizza nella ripetizione di corpi strutturali come facenti parte di una più vasta concezione: una serie di elementi sempre uguali, scanditi dal ritmo della precisione, diventano la struttura portante di un unico insieme la cui espressione si identifica nel messaggio di protesta (Miao; Mani Innocenti).
Accanto a questa scelta per un’arte geometrica, capace di esprimere valori latenti le cui forme sono l’espressione armonica dell’estrema senso-razionalità dell’artista, lo spazio diventa anche il luogo sul quale iscrivere simboli di affetti, di impulsi e di moti umani.(Incidente di percorso.) E’ questo il tempo in cui Branca abita le superfici grezze del ferro e del rame con la commistione di elementi astratti e oggettuali, misteriosi e quotidiani (Galassia; Venezia). La materia e gli oggetti, da puro mezzo diventano adesso realtà viva e organica con cui rapportarsi: Branca lavora la materia intesa nel suo senso primitivo di “mater” che si apre per germinare avida di luce e di colore, pronta nelle sue infinite metamorfosi a corrispondere la sensibilità del tocco dell’artista, che sollecita e rivela le sue inesauribili, intuitive potenzialità in un coesistere simultaneo di manualità, materia, luce, tempo, sogno (Cigni). Stefano Branca esplora tutte le possibilità espressive dei materiali che utilizza fruendone le energie materiali e spirituali che essi stessi emanano. Così procedendo, lo spazio rigoroso e simmetrico come le intuizioni matematiche di Escher, puntuale e pungente come i significati che supporta, diviene lentamente spazio metafisico dal quale i frammenti di architettura emergono delineando uno spazio simbolico ancora diverso.(11 settembre).
E’ come se la materia maltrattata metaforicamente, volesse parlare, denunciare la sofferenza della carne e della mente dell’uomo così da ritrovare nella combustione il riscatto di quella stessa materia ferita come purificata dal fuoco, secondo un rito sacro che la riporti a nuova bellezza (Nero). Questa è l’interpretazione simbolica o forse romantica di un’arte che è tuttavia figlia di una precisa metodologia. Nelle intenzioni di Branca, recondite forse anche a se stesso, sembrerebbe tuttavia vivo il desiderio che egli ha di proporre il suo modo di vedere l’Arte intesa come l’“Imago Mundi”, una “Weltanschaung” complessa e ordinata secondo il sapore della propria esperienza vitale ricca e indicativa, che gli ha permesso di raccontare l’armonia tra la forma e struttura. Presente nell’animo di Stefano Branca l’influenza acquisita dalle letture relative ai trattati sull’Arte Classica e sul Rinascimento, oggi l’artista sensibilmente “entra” nell’opera d’arte, proprio come teorizzava Wassily Kandinsky per “ascoltarne” la forma e condividerne il proprio “pulsare con tutti i sensi”. Ecco come maturano nuove forme, nuove strutture. Così nascono nuove idee, un nuovo vedere, un nuovo sentire. (L’opera che ritrae tua moglie Paola).
Il lavoro di Branca coinvolge così in modo unico, conoscenza sensoriale e conoscenza intellettuale; provoca lo stimolo per nuovi nessi, nuovi sistemi, arricchendo gli uomini, ora non più soli spettatori della sua opera, evocando pensieri e culture lontane nel tempo e nello spazio. (Danza).