Lucy MacGillis: l’essenza del tempo attraverso la luce
Lucy Macgillis è americana ma il suo cuore, la sua anima e la sua sensibilità artistica sono profondamente umbri: senza quei paesaggi, quei silenzi ininterrotti e la possibilità di un profondo isolamento a tu per tu con questa realtà talmente lontana dalle sue origini, l’artista forse non avrebbe mai potuto ricercare un’appropriata dimensione creativa.
La luce e il suo mutare con il trascorrere delle ore funge da fil rouge di tutta la sua opera ed è quindi da considerarsi l’oggetto costante di una continua ricerca alla quale l’artista infatti approda sempre con identico rigore intellettuale e stilistica, sia che si tratti di paesaggi (Ponte Rio I; Ponte Rio II;) che di nature morte (Panicoli)o di scorci di interni domestici (La CameraI; La CameraII). Nei suoi olii su tela appaiono evidenti le citazioni più tipiche della pittura morandiana: eppure un bricco isolato, un piatto con della frutta appena raccolta o i paesaggi delle vedute riprodotte “en plein air” della campagna circostante, non intendono esaltare il rigore di una citazione ma testimoniare la serena naturalezza o se vogliamo una ancor più nostalgica rievocazione di cui la MacGillis coglie l’eco profonda mettendo in evidenza come l’opera di questo artista bolognese e internazionale, sia oggi una parte cosciente del proprio operare artistico.
In questo suo rievocare, dai dipinti emerge un lieve respiro poetico spesso sottolineato da più forti impasti materici che modellati dalla spatola assumono il valore di conduttori di luce ma anche di contrasti tra la luce e la penombra raccontata attraverso essenziali impressioni di ambienti (La Soffitta). In tutta l’opera di questa giovane artista originaria del Massachussetts e appena 27enne paiono coesistere due forti esigenze: la necessità di dipingere in diretto contatto con la natura, tralasciando perciò più facili trasporti intuitivi per cogliere dal vero gli aspetti di una realtà contadina in cui adesso abita fortunatamente distante dal caos metropolitano, e la voglia di approfondire la conoscenza storica di questa terra e dei suoi abitanti, per poterlo raccontare attraverso il proprio lavoro a cui si dedica con inesauribile energia.
Durante questo percorso formativo, c’è un altro fattore che ci aiuta a comprendere la sua opera. E’ il sentimento del tempo che passa, quello presente, fatto di ore appena vissute e che dall’alba all’imbrunire trascorrono non senza che l’artista si soffermi a registrarne i mutamenti contingenti. Esiste poi “il tempo che fu” e che lentamente va riaffiorando sulle tracce di preesistenze di un tempo immemorabile. Così, con grande fatica accentuata dalla lingua e dalla cultura differenti dalle proprie, MacGillis tenta di portare alla luce la lunga catena che ha legato le vecchie generazioni perdute, l’una alle altre: mimesi tra la storia degli uomini e della terra, tra la materia del corpo e quella dei paesaggi naturali. Ma dell’uomo, nei suoi dipinti, ancora solo una traccia: il fazzoletto rosso abbandonato su di una sedia, un cappello appoggiato su di un tavolo di legno, le lenzuola pulite di un letto ben fatto e pronte ad accoglierlo dopo una lunga giornata di lavoro.
Si riconoscono ambienti ordinati, curati, abitati dall’uomo. Un linguaggio visivo ricco di rimandi simbolici e di richiami a suggestioni, ora vissute in prima persona su questa terra umbra profondamente amata, ora solamente immaginate, attraverso la romantica e curiosa attitudine della giovane pittrice, nel raccogliere vecchi utensili abbandonati tra le mura diroccate di vecchi casali. In questo rapporto in diretto contatto con il suo ambiente e gli oggetti che lo abitano, MacGillis prosegue nello studio e tenta nuovi accostamenti di colori soprattutto nelle nature morte.
Qui lo schema compositivo degli oggetti rappresentati su di un piano-brocche di peltro arrugginito, vecchi vasi scheggiati, caffettiere fuori uso- rappresentati su di un piano, rivelano ancora una volta un’accentuata sensibilità naturalistica. Così è possibile scorgere il rosso limpido e squillante del mattone di terracotta lavorato a mano-e regalato all’artista in visita alla fabbrica di Castel Viscardo -volutamente posto a contrasto in tutta la sua sapiente, rossa vivacità ad esaltare i toni miti e delicati della composizione di frutta e riscontrare un’equilibrata armonia cromatica. Altrettanta purezza si scorge nei toni ora giallastri, ora più verdi delle tele con paesaggi, delle radure rappresentate al cangiare della luce, la “golden hour” che cambia col mutare delle stagioni.
MacGillis si pone di fronte ai soggetti che vuole rappresentare con la stessa semplicità e con la stessa energia che sulle tele ritroviamo. Alla base resta sempre lo studio del colore, ora estrapolato tra le delicate gamme per fondersi nello sfondo di scenari dai toni intimisti, ora energico e materico come gli elementi naturali da cui discende.
In entrambe le situazioni non sono i particolari stati d’animo dell’artista a contaminare l’opera ma piuttosto una equilibrata voglia di procedere in questo personale cammino stilistico e storico nell’approfondimento delle proprie capacità tecniche. “Ogni cosa influenza la mia opera” afferma la MacGillis “se sono alla Stazione Ferroviaria, il ritmo scandito dal rumore del treno che passa, il fumo e il calore, la campanella che suona mentre una voce annuncia l’arrivo di un convoglio, tutto ciò contribuisce alla riuscita finale del mio lavoro e ne è parte davvero indispensabile.”