Gianni Galassi: Oltre i confini dei luoghi comuni
Sto per telefonare a Gianni Galassi per fargli alcune domande tecniche sul suo lavoro, che presto sarà in mostra a Palazzo Venezia.
Poi cambio idea, preferisco non disturbarlo: mi è tornata alla mente una breve conversazione telefonica che mi sembra sufficiente per dare un inizio a questo mio percorso critico tanto emozionante. Gianni stava partendo per un viaggio e mi rispondeva che certamente si sarebbe portato dietro la sua macchina fotografica. Penso che Gianni Galassi sia un uomo fortunato.
Fotografare è prima di tutto una sua forte passione che vive, cresce e matura, passo passo insieme a lui.
Questo Palazzo, nel cuore di Roma e colmo di storia, mi porta a riflettere non soltanto sulla sorprendente energia evocativa che queste immagini emanano, ma soprattutto sulla sensibile compenetrazione tra il senso tangibile di realtà viva e il senso della memoria che a questa sopravvive. Cerco una spiegazione nei luoghi e nelle situazioni ritratte, normalmente abitate e vissute dall’uomo, di cui, qui, invece non restano che tracce dell’avvenuto passaggio. L’immagine inquadrata da Gianni Galassi prende ora possesso del suo spazio come se si umanizzasse essa stessa, divenendo qualcosa di vivo quanto l’uomo, capace di comunicare oltre la sua forma, oltre la sua struttura. Egli pone il suo impegno espressivo su delle basi concrete, finalizzando il proprio lavoro in un costruttivo dialogo con la realtà. Non tenta di mutarne i connotati intervenendo concretamente su ciò che attrae il suo obiettivo, ma sembra piuttosto voler rivalutare il punto di vista a cui si era affidato fino ad un istante prima, lavorando principalmente su se stesso, sui suoi dati emotivi e le sue capacità sensibili, per arrivare a percepire quale sia, tra le infinite possibilità che un soggetto offre nel suo mutare -attraverso l’interferenza delle luci e delle ombre-, il momento adatto per decretare l’ultimo scatto.
L’esperienza soggettiva dell’autore si unisce alle sollecitazioni che provengono dall’esterno e che si mescolano vicendevolmente man mano che il lavoro prosegue, alla ricerca di qualcosa di definitivo. Difficile stabilire un fermo immagine, quando ti accorgi che ciò che stai inquadrando è in continua evoluzione formale, tanto più se riferita ad una propria spazialità prospettica, che ne determina il movimento attraverso la luce. Ed è proprio questo elemento, con i suoi riflessi sulle superfici metalliche, su quelle di cemento armato o su di altri materiali, a conferire tensione a queste costruzioni; mentre lo spazio, quando è altro e vive autonomo oltre l’immagine inquadrata, gioca con un influenza particolare sulle strutture che circonda. Nei paesaggi, il collocarsi dell’opera in un determinato spazio, già prestabilito da Galassi, è il risultato di un continuo indagare sulle funzioni del vuoto e della sua leggerezza, dando vita ad inaspettate gradazioni ritmiche, giocate sui toni dei chiari e gli scuri delle ombre.
I vuoti entrano a far parte di un’inquadratura come fossero i silenzi, le pause del proprio respiro, in attesa che qualcosa muti sotto uno sguardo attento e avido di cambiamenti inaspettati. Con le sue fotografie, Gianni Galassi riesce meravigliosamente a dare animo ad immagini da cui emergono molteplicità di ritmi sensibili: così come per la pittura seriale degli Anni Sessanta, quando il segno acquistava la strutturalità dinamica della forma, fino ad occupare secondo ritmi accelerati e sequenze scalari l’intera superficie del quadro, anche nelle immagini di Galassi si riscontra il ripetersi di moduli. Esso però non è il frutto di una ricerca personale volta alla rivalutazione di preconcetti storico culturali, ma piuttosto scaturisce da ciò che definirei il Valore Aggiunto che rende le sue fotografie delle vere opere d’arte. E’ evidente come Galassi manifesti una certa predilezione per le complicate articolazioni geometriche, fortemente personalizzate da quelle lunghe ma impagabili attese, affinché finalmente l’ombra, fenomeno naturale e astratto per eccellenza, giunga invece e solo in quel dato istante, tagliente e materica come mai, determinando l’impeccabilità di quello scatto. Diversamente, quando egli punta l’obiettivo sui paesaggi isolati, genera una nuova idea di purezza, quale risultato di quella semplicità d’espressione che caratterizza ogni sua opera, nuovamente liberata dall’idea iniziale.
La passione che l’autore dimostra continuamente per la ricerca non vuole certamente assimilarsi all’idea di uno sterile sperimentalismo o della superficiale esaltazione di luoghi e di forme.
Il vero non può fare alcuna concessione al superfluo: da qui la scelta di Gianni Galassi di rivelarci in questa mostra le sue nobili e ancor più preziose intuizioni, superando i confini dei luoghi comuni.