Officine Farneto, Roma 8 maggio 2013
Pezzi di latta impilati, taglienti come lingue affilate, ancora lucidi e accattivanti; tappi che non hanno più nulla da conservare; pagine dattilografate del cui senso si è persa l’intenzione.
E a poca distanza, sistematicamente appoggiati sul pavimento appena spolverato, grandi quantità di collante lì pronto a far da trade d’union tra questi rifiuti comuni di una società globale, con il preciso intento di rimettere le cose a posto, forse per sempre. Un rifiuto nuoce all’ambiente e può ferire un sentimento. Diventa perfino pericoloso quando dietro di esso si celano intolleranza e pregiudizio. Qualunque ne sia l’origine e qualunque ne sia l’oggetto offeso, la prerogativa dell’essere indesiderato ha comunque da sempre un’accezione negativa.
Fabio Ferrone Viola con l’energia vulcanica di un cervello mai a riposo, va articolando le sue idee attraverso un linguaggio artistico capace di andare oltre la materia dei suoi stessi lavori. La volontà e il fine a cui tende l’opera di Ferrone Viola, si fonde come lava rovente in un’unica risorsa, cosicché quando l’una accenna ad esaurirsi, ecco che l’altro subentra a farle da supporto. Adesso quelle lattine prima offensive, come simboli di universali realtà a contrasto, si assemblano sul supporto della tela in percorsi vicendevolmente smussati. Gli stessi tappi rimasti fuori uso, ora esaltano le vecchie pagine preservandone il significato finalmente inedito: alla base e ben incollati, i principi fondamentali con cui Fabio Ferrone Viola si rivolge idealmente ad un numero più vasto possibile di esistenze umane, iniziando dalla propria.
E’ davvero possibile constatare la verità che sospinge gli intenti di questo artista puro, immaginando di osservare un animale dall’aspetto poco attraente come lo struzzo, in difficoltà: il richiamo emozionale da parte di uno spettatore qualunque risulterebbe equamente proporzionale e dunque probabilmente nullo. Non se di fronte allo stesso struzzo si immaginasse lo sguardo sensibile di Fabio e un animo diverso, dichiaratamente non disposto ad assomigliare a quello “spettatore qualunque” che quindi escogita il modo per soccorrere lo struzzo e se lo porta a studio.
Qui nel piccolo giardino che lo circonda, oltre agli strumenti da lavoro, quest’animale salvato dall’inondazione del Tevere e protagonista di questa storia vera, si aggira a pochi metri tra gli oggetti che presto verranno assemblati in opere d’arte con la nuova identità di ex rifiuti, ex rifiuto anch’esso e per il quale si prospetta una nuova vita, lontano dal suo habitat di origine. Per questa ragione lo struzzo si pone come il riferimento adeguato di questa nuova fase creativa dell’artista che nel privato come nel lavoro suole concentrare il proprio interesse sulla ricognizione di immagini e di idee oltre che di oggetti, per rielaborarli o meglio, riciclarli, in una più intima visione condizionata dal DNA strutturale del proprio io: attratto dal mondo esterno, Ferrone Viola si pone come obiettivo quello di interpretare gli umori di una società contemporanea risolvendoli in messaggi intrinseci alla sua opera.
Ci si trova a tu per tu con un corpus di opere che rispecchiano in modo evidente e chiaro questa duplice poetica intuitiva e concreta che scaturisce da uno stesso input creativo: il desiderio al quale quest’artista aspira nel poter contrastare o almeno correggere in difetto, il diffuso senso di amarezza del vivere contemporaneo, conscio di volerne comprendere le sfumature e la dignità dolorosa di coloro che con coraggio hanno scelto di andare avanti, nonostante tutto. Nel porsi tali mete, Fabio Ferrone Viola valuta in modo obiettivo quanto accade intorno a sé ma nell’interesse di tutti coloro che ne sono già in gioco. Egli pertanto vigila come un “Guardiano” affinché lui stesso non ne resti “coinvolto come una marionetta”. L’artista dissimula pertanto sentimenti comuni, di destabilizzazione e incertezza attuali, applicando nella sua opera elementi i cui caratteri armonici e rassicuranti creano un geometrismo spaziale fluido e bene equilibrato.
Ferrone Viola compie un’azione-reazione opposta al sentimento di desolazione e angoscia fin’ora metabolizzati,
disegnando bocche sensuali che esortano al bacio e cuori simbolo di amore, come delle matrici che nel proprio ripetersi infinito siano un promemoria della parola “Love”. Esse sono entrambe icone emblematiche di un’idea positiva dalla quale Fabio origina il suo pensiero vero trasferendolo in quella precisa azione vera: esattamente come avverrebbe sulla scena, ove l’artista svolge-evolve linee e forme complementari, come fossero le parole del suo discorso da assemblare sulla tela. Tutti i suoi lavori non a caso riflettono quest’inedita continuità semantica, nel voler comunicare al mondo e alla società, una speranza finalmente vera, che superando l’opera, possa venir condivisa dai sentimenti delle persone comuni ai quali Fabio si rivolge continuamente. Un andare oltre, che continua ad essere anche in profondità la forza trascinante del proprio io, verso il procedere dell’esistenza universale. Coerentemente con un suo progetto ideale prefissato all’inizio di questo nuovo percorso, Fabio Ferrone Viola guarda oltre il puro contesto formale, anche quando la ricerca artistica figurativa si perfeziona nell’audace conversione antropomorfa dei suoi collage .
Di fronte a questa stessa tendenza che negli Anni ’60 aveva trovato infiniti spunti per modificare i connotati del ritratto con l’intento di confonderne le caratteristiche, Ferrone Viola dà prova al contrario di una manualità talmente castigante da avvicinarsi ad un iperrealismo di matrice nuova. Sono esempi di arte assoluta perché frutto di notevole capacità: una sindrome costruttiva i cui dati di riferimento ne risultano bene interpretati oltre che evidenziati dall’esatto articolarsi di un medesimo pattern. Ecco che l’immagine emerge tra ordito e trama per iterazione segnica, fino a riempire l’ intero campo visivo supportato dalla tela. Ferrone Viola compie un processo per addizione dalla tenuta estetica innovativa, intrisa di sé prima di ogni cosa, ma sottesa alla causa di ragioni umane e sociali verso cui Fabio è suscettibile, attento com’è ai fatti di cronaca contemporanea e di tutto il nostro secolo. Quello escogitato dall’artista è un modo diverso e complicato, per cui egli riesce a sfruttare sapientemente lo stesso colore di uno tra i brand più noti nel mondo per raggiungere il suo ideale formale: “Ci vogliono 10 secondi per bere una lattina di coca-cola per poi farla diventare un attimo dopo già materiale di scarto” commenta Fabio. Pur non mutando la percezione di un sentimento della realtà e del suo configurarsi in atteggiamenti generali di scontento e malumore, di corruzione e di caducità, Ferrone Viola reagisce mantenendosi ancora fedele agli atavici canoni di bellezza che caratterizzano i propri lavori. L’artista segna di sé lo spazio, contrappone i suoi gesti, oltre che le sue idee eloquenti, al silenzio della tela che è restata in attesa di acquistare un diverso significato attraverso l’intervento dei materiali riciclati.
Le colorazioni eccentriche di cui fa uso l’artista contrastano con la sobrietà del proprio carattere affatto naif, risolvendosi con elementi incollati che separano il supporto utilizzato da quei solchisimbolo di determinanti carenze culturali che sono alla radice degli innumerevoli e sanguinosi conflitti. Fabio Ferrone Viola via via procede alimentando i suoi lavori con pensieri ed emozioni, agendo con la forza delle braccia e materializzando il proprio pensiero come fosse l’unica impronta originale da lasciare, proprio come la data di scadenza incisa sui materiali riciclati rintracciabili nei suoi quadri. Perseguendo questo concetto, l’agire dell’artista si identifica in un rituale dove gli elementi che assembla sulle tele acquistano la valenza di Memoria degli stessi contenuti da cui provengono: durante il loro concretizzarsi nell’opera, si assiste ad un continuo rimando al tempo vissuto e allo spazio circostante, dove formalismo e astrazione si incarnano in due polarità di opposti, destinati all’unione, sulla soglia del visibile e del dicibile. Ci si riferisce al ciclo dei ritratti: Kennedy, Marilyn; Obama, icone come Jacqueline Kennedy o Andy Warhol e Jim Morrison. Una fase meritevole questa di Ferrone Viola, tra le più identificative del suo percorso vissuto all’insegna di un’analisi radicale e di un ribaltamento delle pratiche riproduttive dell’immagine contemporanea, già diffuse e per le quali poi decide di avvicinarsi a personaggi italiani e più popolari in senso lato, anche se professionalmente distinti e lontani fra loro.
Qui l’imprintig diventa scuro, i volti emergono tra contorni monocromi tra i quali prevale il colore nero. Icone del passato che si affiancano ad altre del presente; comunque personaggi emblematici, addirittura “i miti” per un piccolo pezzo di umanità nascosta. Con cruda analisi, maturata proprio in Fabio Ferrone Viola in questa fase ultima dedicata alla mostra, egli accosta una produzione di opere il cui tema egli si sente chiamato a rappresentare alla stregua di un vaccino, da somministrare con l’intento di debellare un’altro male contemporaneo. Pistole, bombe a mano, kalashnikov e altre armi da fuoco campeggiano circondate da tappi coloratissimi a sdrammatizzarne il contenuto, mentre altrove sono proprio le pagine strappate a testi sacri a farne da sfondo. In questo modo Ferrone Viola evidenzia come l’errore eterno che consegue alle azioni malvagie – dalle stragi premeditate dei serial killer a quelle inammissibili consumate dentro le quattro mura domestiche – non possa più venire riscattato da una fede ormai perduta, strappata dal suo significato profondo e originario, divenuta paradossalmente arma da ricilco tra le sue stesse mani.
Lo spazio sul quale Ferrone compone le sue denunce ideologiche, tappo dopo tappo come un operaio che mette in posa il primo mattone, diviene un muro meglio identificato con quello di una metropoli ideale: la piattaforma privilegiata attraverso cui poter comunicare così come avviene per gli Street Artist, qui ci giunge nel riciclo di una “pedana” di legno grezzo in disuso: Fabio Ferrone Viola ne muta di proposito la morfologia, con l’intento di passare dal punto di osservazione rialzato a quello di fuga, suggerito dalle strisce della stessa bandiera che vi ha dipinto sopra. L’esigenza di Fabio di comunicare fino al raggiungimento di qualcosa prima inarrivabile, una sorta di al di là migliore che da qualche parte risiede nel contesto reale come quello in cui viviamo e con le abitudini di sempre, va di pari passo con la motivazione più urgente che lo spingono ad interpretarne le contraddizioni che lo animano e che adesso emergono come il file rouge che collega tra loro tutte le numerose e diverse opere riunite per questa mostra, in modo tanto sottile quanto finalmente evidente. Mettere in risalto quali siano le comuni manie di conservazione per cui si tende ad “accumulare” oggetti senza un senso, ne sono un esempio assieme all’abuso che si fa negli sprechi, condizionati da un modus vivendi consumistico e inadeguato. Nell’arte di Ferrone Viola, questo universo di opposti ideologici, uniti da sapiente ironia a fin di bene, mirano al compimento perfino propedeutico nel generare una diversa disciplina di vita educativa, ad ampio raggio. Nelle sue opere sempre più spesso si riscontrano spazi lasciati volutamente vuoti a significare gli spiragli verso i quali egli incarna una personale apertura metaforica, pronta ad accogliere le sollecitazioni esterne che ne approvino e ne condividano il proprio pensiero.
Una tela lasciata ancora grezza, un supporto di legno non trattato, tappi raccolti dopo essere stati stappati e gettati, sono tutti elementi di un medesimo magma, di una stessa materia da cui nasce quel muro fittizio che prendendo forma da questi elementi di base, poi se ne appropria nell’atto di dissimularli, donandogli una forma nuova rispetto a quella originaria.
Riciclata.
Fabio Ferrone Viola, con l’intero corpus dei suoi lavori “Caps” in mostra alle Officine Farneto,
raggiunge dunque l’incarnazione dell’idea di una fitta trama materica a contrasto dei vuoti già citati, come nell’alternanza assoluta e complemetare di prossimità-profondità: la stessa duplicità semantica con la quale Fabio Ferrone Viola, a lettere maiuscole, detta la propria premessa poetica e che in nulla si distingue dalla medesima finalità delle sue opere.
Miriam Castelnuovo
Opening: 8 maggio 2013
Officine Farneto
via Monti della Farnesina, 77 – Roma
Orari: lunedì-venerdì, ore 8.30 – 20.00; esclusi festivi
Ingresso libero