Carlo Cattaneo, Carlo Cecchi, Giancarla Frare, Gino Guida, Luigi Montanarini,Luis Moro, Izumi Oki, Loretta Surico, Vito Vasta, sono i nove artisti chiamati dalla Galleria de’ Florio Arte, ciascuno dei quali come singolo testimone del rapporto autore-opera, realizzato nella totale identificazione del soggetto con l’oggetto.
Li troviamo complici in un atteggiamento seppur individuale, di coloro che servendosi idealmente del dato poetico oltre che di quello più razionalmente tecnico, rivelano attraverso il proprio lavoro, la più urgente, necessaria esigenza espressiva. Anche quando la connotazione formale delle opere si esprime nel linguaggio materializzato del segno, è possibile cogliere in ciascuna di esse precisi riferimenti semantici. La forza del segno che si trova nei lavori di Luis Moro non si identifica solo nelle linee e nei colori, ma va oltre: ciò che egli immagina e poi dipinge deriva da motivi profondi, talvolta ignorati, tra i quali è impossibile cogliere un rapporto razionale. Il segno di Luis Moro è come un filo conduttore di una corrente intermittente; dimostra come la materia pittorica da puro mezzo sia adesso una realtà viva e organica con cui l’artista viene alle prese.
Proprio come uno scienziato al microscopio, Vito Vasta esplora su lastre di ceramica tutte le possibilità espressive offerte dalla materia acquistando sempre più consapevolezza delle energie materiali e spirituali che vivono in essa. E’ così che il suo lavoro va sviluppandosi come il segno, il simbolo, di una tensione verso l’assolutezza dello spazio, esso stesso centro dell’unità metafisica. Fortemente spirituale è l’esercizio per cui Giancarla Frare, partendo da elementi concreti come dalla “granulosità di una pietra”, procede alla ricerca dello spazio metafisico; la sua pittura è l’equivalente espresso in luce e colore di posizioni dello spirito assolute, al di là di ogni affettazione.
Anche nell’opera di Loretta Surico, lo spazio diventa il luogo sul quale iscrivere simboli di affetti, di impulsi e di moti umani. Frammenti di architettura emergono nello spazio simbolico e materializzato allo stesso grado emotivo. L’artista oscilla tra l’astratto e il concreto: dipinge ora l’oggetto reale, ora l’oggetto che deformato dal vortice spaziale, appare sulla tela vuoto come il simbolo, compatto e impenetrabile come la materia.
Diversamente Oki Izumi attraverso la scelta di un’arte geometrica, oggettivamente reale, esprime alcuni valori latentiche rende percettibili sotto forma di espressioni armoniche di estrema logicità. Attenendosi ai principi senza dubbio più rigorosi, Oki indaga la consistenza degli spessori e delle trasparenze pure e cristalline del vetro. Il suo processo di realizzazione geometrica permette la ripetizione di elementi strutturali come facenti parte di una più vasta concezione; un insieme di elementi simili, ritmici che costituiscono un complesso unico da cui si percepisce l’armonia assoluta dell’opera d’arte.
E’ un rigore differente quello dipinto da Gino Guida: egli inserisce nell’atmosfera trasparente dei suoi quadri una commistione di elementi astratti e oggettuali, misteriosi e quotidiani. Guida confluisce in questa forte sintesi una compenetrazione prospettica di elementi interni ed esterni, vicini e lontani introducendo il colore in una concezione fortemente improntata al contrasto tra luci ed ombre.
Universi remoti, visceralità ancora inesplorate si riscoprono nella particolare indagine microscopica di stratificazione che Carlo Cecchi compie nel sottosuolo terrestre e umano. Portando la forma (quasi) alla dissoluzione, distrugge il segno per poi ritrovarne uno più genuino: scompone la materia per ricercarne una più idonea alla struttura di un’arte in divenire.
Il perpetuarsi dei valori del sentimento contenuti nell’impressione, emerge dal disegno sapiente di Luigi Montanarini, dove il maestro si interessa prevalentemente alla massa e al carattere piuttosto che al dettaglio. Guidato dal sentimento, ritiene il bello nell’arte, una verità nutrita dall’impressione che si riceve alla vista della natura. Egli stesso, anche operando verso l’imitazione più coscienziosa, non abbandona nemmeno per un istante l’emozione che che di lui si è impadronita. Il dato reale è perciò un’importante parte della sua pittura, ma il sentimento è il completamento necessario di questa.
Carlo Cattaneo introduce nei suoi lavori il senso del mistero e dell’istinto, facendo appello all’evocazione e alla suggestione. Accanto al finito predica il non finito, il vago, lo sfumato in cui si inseriscono apparizioni talvolta macabre, inquietanti, dove la natura non viene colta con minuzioso verismo, ma reinterpretata attraverso l’agitazione del segno.
Tutti e nove questi artisti informano sulla muta funzione della pittura, del tatto e del sentimento; trasmettono i segni, gli incubi, i desideri accanto alle paure personali che malgrado la loro elusività si connettono con l’inconscio collettivo. Ogni artista, operando in bilico tra i propri ideali e le proprie trasgressioni, rivolge ogni sua fatica nell’incessante trasformazione dell’energia e della materia in funzione di una realtà come divenire.