“A TEMPO DI MUSICA” è il titolo della mostra-concerto a cura di Miriam Castelnuovo e che avrà luogo il 3 dicembre 2011 a Roma in via dei Volsci 110 alle ore 18:30.Si tratta di una mostra collettiva e in cui saranno presenti 16 artisti: Diego Bardone, Flavia Bigi, Carlo Cecchi, Daniele D’Amico, Valentina De Martini, Silvia Fazioli, Natalia Gambino, Raul Grisolia, Nicola Guerraz, Guido Iannuzzi, Ricardo Augusto Moro, Pietro Perrone, Elena Pinzuti, Cornelia Stauffer e Falminia Violati. Ciascun artista cercherà di rappresentare il senso del tempo attraverso il proprio lavoro, chi con la fotografia, chi con la pittura o con installazioni concepite attraverso l’utilizzo dei più diversi materiali: dalle resine all’acrilico al quarzo, dall’acciaio ossidato al cemento, dalle garze gessati e ai fili di sotura fino alla rete elettrosaldata e alla plastica corrosa, i 16 artisti occuperanno questo spazio splendido, ovvero l’Atelier -abitazione di Valentina De Martini al centro del quartiere di San Lorenzo, noto per il suo fermento culturale che lo anima già da qualche anno in concomitanza con il sorgere di nuove Gallerie d’Arte e di diversi luoghi di incontro proprio come questo, al fine di creare uno scambio culturale nonché sperimentale e reciproco ma soprattutto complementare. Il “tempo” protagonista assoluto dello scandirsi più o meno equilibrato dell’esistenza di ciascun essere umano, viene considerato per questo evento come l’elemento principe per cui battere un ritmo che farà da protagonista per tutta la serata: si tratta unicamente del tempo musicale della Performance interpretata al pianoforte dal noto musicista Riccardo Eberspacher con Giovanna Famulari al violoncello e Juan Carlos Albelo Zamora al violino: una performance dedicata e realizzata unicamente per questa serata dietro il generoso intento dello stesso compositore, di stimolare tutti gli artisti presenti verso una ritmica e contemporanea produttività. Citando a questo proposito l’ospite dell’evento oltre che esserne uno dei partecipanti, Valentina de Martini, la musica oltre che a scandire, battere, il ritmo musicale, è un abile strumento con cui abbattere il malumore: “De Martini vuole andare oltre, sconfinare il limite della mediocrità al fine di stimolare un globale risveglio dienergie positive, per poi lasciare che esse si diffondano libere così come l’intima percezione che ciascuno ha del suo atelier, come del luogo per esse prescelto.” (da “Hora Feliz” di M.C.)
“A Tempo di musica” è l’idea da cui è nata la volontà di organizzare questa mostra e di poterla inaugurare regalando al pubblico musica di qualità da ascoltare, mentre si è circondati da opere d’arte, video e installazioni e inoltre dando volutamente al concetto di Tempo un’accezione non necessariamente o soltanto musicale così da poter diventare un pretesto per tutti gli artisti per indagarne e sperimentarne i molteplici significati: da quello metereologico (ormai anch’esso imprevedibile) a quello solare (quasi sempre tiranno) fino a pensare al tempo biologico: il meno ascoltato di tutti, a iniziare dall’uomo stesso, ma il cui DNA è quello di cui son fatte le proprie storie e la serie ininterrotta di eventi, dalla quale traggono necessariamente spunto le opere dei 16 artisti presenti in questa serata.
La mostra si inaugura alle ore 18.30,
seguirà alle 20.30 la performance di
Riccardo Eberspacher in concerto per pianoforte e violoncello.
Per info
DIEGO BARDONE nasce a Milano nel 1963. Si avvicina alla fotografia alla metà degli anni ’80, collaborando poi con il quotidiano Il Manifesto e alcune agenzie fotografiche. Gli accadimenti della vita lo inducono ad accantonare questa sua passione per un periodo di tempo assai lungo, finchè tre anni orsono decide di riabbracciare una passione mai sopita. La strada è il suo habit naturale, la semplicità dello scorrere della vita di tutti i giorni ciò che ama ritrarre usando il BN come mezzo espressivo d’elezione.
Titolo installazione unica “Il mio tempo gentile”, stampa fotografica su carta Fine Art Ilford Galerie Gold.
“Quello che ambisco con le mie fotografie è dimostrare a chi le guarda che semplicità è sinonimo di bellezza…vorrei mostrare un mondo gentile, un mondo che amo e che riprendo senza mai dare giudizi di sorta. Adoro vedere immagini di altri fotografi, mi riempono di gioia e poi insegnano, il che non è mai male”. Diego Bardone è un poeta della fotografia, i suoi ritratti sono dei veri racconti, pieni di storia e di sentimento: egli scatta immagini tratte dalla strada del capoluogo lombardo ma che nel suo obiettivo perde ogni connotazione geografica per diventare un luogo di ripresa universale. Potremmo trovarci a Parigi come ad Hong Kong e altrove: ciò che Bardone mette a fuoco è la vita di strada di una città, chissà se un giorno capitale del mondo, narrata attraverso sentimenti rubati, coincidenze imprevedibili e rappresentata attraverso scorci reali ma che appaiono surreali come solo una favola può esserlo. Qui in questa mostra, Diego Bardone ci regala un esempio delle sue capacità, fatta di passioni e di colpi di scena: egli non è un narratore solo capace di costruire e raccontare vicende coinvolgenti con uno straordinario senso del ritmo narrativo, ma è alla ricerca costante di originalità, sospinto dal desiderio entusiasta che le sue fotografie riescano assolutamente uniche.
FLAVIA BIGI e’ nata a Siena, dove ha compiuto studi classici. Ha seguito corsi di pittura e composizione viaggiando in vari paesi, esponendo i suoi lavori in mostre collettive e personali. Frequenta la IAA Rufa di Roma per due anni con il maestro Tullio De Franco. Trasferitasi a New York, consegue un Master alla New York University, laureandosi con Peter Campus in New Media. Segue un workshop di pittura con James Rosenquist e si trasferisce infine a Parigi dove partecipa a numerose fiere Internazionali. Flavia Bigi ha partecipato a numerose Fiere d’ Arte Contemporanea: KunStart Bolzano, Volta Show Basel, Tina B PRAGA , Show Off Paris, DIVA Art Fair New York e Miami, Pool NYC, Segni Torino, Venice Video Art Fair Venezia. Espone con la Galleria Vanessa Quang di Parigi e con Rosanna Musumeci Arte Contemporanea di Bruxelles. Vive e lavora tra Roma e Parigi (sito web www.flaviabigi.com).
Titolo “The Ants” (da The Ants Global Proj.), sculture in resina 150x60x50 (2008)
Flavia Bigi già definita artista eclettica per la sua predisposizione nell’accostare elementi eterogenei fra loro, in questa installazione di grandi formiche, da sfogo all’ideazione di creature appartenenti simultaneamente ai regni della natura e che trovano fondamento e giustificazione in una peculiare poetica, basata sul rapporto tra ambiente e l’uomo, a cui sottende sempre e dovunque il senso creativo di proporzionalità e simmetria. E’ come se Falvia Bigi cercasse di incastonare nei suoi lavori l’irreale nel reale e viceversa l’ovvietà nell’assurdo: essi sono la risposta che Flavia Bigi da alla propria coscienza artistica e alle intime riflessioni, nel loro fluttuare produttivo, tra il dato oggettivo e le percezioni soggettive del suo essere artista. Nel suo universo le cose restano cose: sono materia, sono oggetti, sono prodotti, sono elaborazioni. Si assiste all’evocarsi, semplice e sublime del mondo vegetale e di quello minerale, modificati dall’intervento manuale di questo artista-artigiano toscano e secondo personali finalità costruttive. L’opera di Flavia Bigi è frutto di una visione disincantata del suo vivere nella realtà anche se tradotta con sapiente ironia ed esercitata come lo strumento per cui affermare la propria poetica e rivendicare un’autonomia dialettica del suo esistere, a stretto contatto del suo ambiente.
CARLO CECCHIvive e lavora tra Jesi e Roma, ha frequentato l’istituto di Arte e l’Accademia di belle Arti, tra i suoi docenti: Concetto Pozzati, Pierpaolo Calzolari, Alberto Boatto, Vittorio Rubiu, Edgardo Mannucci. Espone per la prima volta a Bologna nel 1973, da allora realizza mostre in istituzioni pubbliche e gallerie private in Italia e all’estero. Di lui si sono occupati importati personaggi della critica e della letteratura, le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private. Carlo Cecchi è presente nell’attuale 54esima Biennale di Venezia.
Titolo “Attraenti a Tratti”, tecniche miste su carta 45×31 cm (2007)
Il caratterizzarsi del segno per cui l’artista riproduce lo spazio come fosse appena schizzato, si traduce nella stessa efficacia di brevi parole dette, il cui significato colpisce in profondità come il suono di certe note musicali. Spazi infiniti talvolta indefinibili, come le stesse atmosfere non classiche ma fantastiche ma il cui significato va ben oltre le apparenze:egli vibra lavorando il nero del suo carboncino, lascia che questo si accosti a qualche pigmento che diluito, si esprime sottovoce sempre subordinato al tratto segnico.
Titolo “Banana quasi impercettibile”, tecniche miste su carta 45×31 cm (2005)
Le città raccontate da Cecchi respirano insieme agli oggetti che le popolano: vi si coglie spesso quell’errare senza meta che egli fa compiere ai suoi soggetti in spazi illimitati pervasi di ironia, che qui ricordano proprio il quartiere di San Lorenzo con i suoi alti palazzi storici. Ciascuno spettatore riscopre nei lavori di questo artista l’angolo privato e più intimo della propria anima, come fosse un segno di richiamo e di appartenenza ad un mondo che se ancora infantile, ne è parte della propria esistenza.
DANIELE D’AMICO nasce a Roma nel 1974, si forma all’Accademia di belle arti di Roma seguendo i corsi Sandro Trotti e Sergio Lombardo. Nell’ambiente romano conosce e frequenta Ugo Attardi che influenzerà le sue ricerche pittoriche. Inizia ad esporre nel 1996 presso “l’Associazione Culturale La Guida” a Roma. Successivamente presenta numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero di cui ne ricordiamo alcune: Ugo Attardi -Daniele D’Amico galleria Forum Interart Roma; galleria Vittoria Roma; Museo Castello Ducale Corigliano Calabro; Palazzo Colonna, Spazio Bloomsbury Roma, Silber Gallery Roma.
Titolo “Interni e musica”, acrilici su tela 150×100 cm (2009)
Daniele D’Amico compie un passo in avanti, interessando con l’opera non solo il senso della vista per lo spessore materico delle sue tele, ma mette inoltre in atto la corrispondenza tra i sette colori primari e le note musicali già teorizzata da Newton e già consolidata tra il musicista Schonberg e l’artista Kandinsky. D’Amico abbandona la tridimensionalità, la profondità dello spazio e del tempo, per dare vita sulla superficie del quadro all’immagine che già premeditata si appropria adesso della tela: la materia diviene arte e la forma libera e disinvolta si traduce in movimento a ritmo di musica. D’Amico procede nel suo realizzare le silohouettes che sulla tela appaiono impadronirsi di un’inattesa matericità: lo sfondo dell’opera ci racconta un scorcio metropolitano accanto ad un giradischi e alla tastiera di un pianoforte le cui note musicali si ripercuotono nelle sinuosità armoniche del corpo femminile, colto all’ascolto.
VALENTINA DE MARTINI nasce a Roma. Ha frequentato l’istituto Europeo di Moda e Gioiello di Roma, nel 1990 si trasferisce a Londra, frequenta un corso di specializzazione nelle arti decorative alla Pardon’s School of Decoration. A Roma lavora come decoratrice di interni. Negli ultimi anni si dedica ad una serie di quadri tutti rigorosamente della stessa dimensione: 2.40 mt. x 42 cm Tra le principali esposizioni: Galleria Omnia Milano, Galleria196 Roma, Chiesa S.Francesco di Paola Taormina, Spazio Biquadro Palermo, Palazzo S.Elia Palermo, Galleria il Sole Roma, Palazzo Torlonia Roma, Bienes Center for the Arts at ST.Thomas Aquinas Miami, Casa Italiana Zerilli Marimò New York, Bergarnot Station Arts Center Santa Monica-Los Angeles,Villa AdrianaTivoli.
Titolo “Concertino”, olio su tela 240x42x3 cm (2011)
(“Close your eyes”; “I’ll never be the same”; “Midnight sun”)
Quest’opera, legata alla nuova fase stilistica di Valentina De Martini, ci rivela un mondo di ombre quali catalizzatrici del proprio pensiero, significanti del “tantra personale” che l’artista diffonde nell’etereo dissolversi dentro il suo atelier, mentre lavora in simultanea simbosi con le composizioni musicali dei primi ‘800 sino a quelle dei più grandi maestri del Jazz. Un pensiero rivolto all’ascolto della musica, che ella traduce in immagini vive e tratte dai suoi pensieri, così come da lei recepite fisiologicamente e intellettualmente, secondo quell’affascinante processo liturgico da cui dipendono possibili fattori inconsci seppur sempre emozionali. Il senso ludico dell’esistere e la pura bellezza delle forme sono due elementi portanti del pensiero della De Martini: sono gli stessi strumenti che lei sceglie come nuova misurazione del tempo infinito e cosmico, scandito a tempo di musica. Un messaggio rivolto a tutti perchè si lascino trasportare dal senso che la felicità puo’ dare ad ogni cosa, così da renderla migliore.
RICARDO AUGUSTO MORO nasce a Porto Alegre in Brasile, si laurea in medicina sia presso l’Università Federal do Rio Grande do Sol con specializzazione in Chirurgia Plastica Estetica e Ricostruttiva nel 1987, che presso l’Università La Sapienza nel 1993 quando si trasferisce a Roma dove vive e lavora. Ha esposto in varie gallerie in Italia e all’estero e alcune delle sue opere sono attualmente presenti in prestigiose collezioni private.
Titolo “MP63” tecnica mista, acrilico, garze gessate, sutura, 100×150 cm (2011)
Poter far ritornare il tempo indietro, quel che solo un miracolo potrebbe rendere possibile oppure… un chirurgo plastico. Ricardo Augusto Moro non ne fa un mistero, spiega che l’opera d’arte da lui realizzata nella maggior parte dei casi trae la sua ispirazione proprio dal momento successivo ad un suo intervento in sala operatoria e che lo ha impegnato in modo particolare anche sul piano emotivo. “MP63” si riferisce ad una scheda legata a quel paziente, Moro procede per un cammino a ritroso e dichiaratamente paradossale, per cui egli motivato durante la realizzazione di una sua opera d’arte dal desiderio di coglierne l’origine dell’identità, come medico ha il compito antitetico di fermare il tempo cancellandone i segni. Se la memoria è intesa come lo specchio dell’essere e del suo vissuto, Ricardo Augusto Moro vi ricollega l’essenza dello spirito nell’affermarsi di una propria poetica che lo induce a ricercare il bello osservando più in profondità, nei meandri dell’ignoto.
In sintonia con “A tempo di musica” Moro stabilisce un’intima relazione tra musica e pittura: così come le note di uno strumento, nel loro fraseggio libero e balzante si distaccano dalla rigida struttura armonica di una stessa composizione, così dalla superficie piatta della tela emergono fisicamente i piani sagomati delle immagini, diversi per spessore ed inclinazione prospettica, realizzando opere a metà tra pittura e scultura. A chi incuriosito domandi ad Ricardo Augusto Moro se sia giusto questo suo ricorrere a continue metamorfosi stilistiche, anche attraverso l’uso di materiali originali, al fine di una connotazione anticonformista del suo lavoro, egli con fermezza melodiosa quanto il suo accento risponde: “io sono da sempre alle prese con i miei abituali strumenti del mestiere, solo che mi ritrovo nell’esprimere il mio senso estetico e soprattutto in modo altrettanto appagante, anche altrove.”
SILVIA FAZIOLI ha fatto studi di architettura e conseguito il diploma in graphic design.
All’interno dello studio “Ars Artis”di arti applicate a Roma, gestisce i laboratori “Soqquadro: materia e manipolazione”. Da sempre mi appassiona rielaborare forme e materiali, che uso come supporti per nuove costruzioni.
Titolo “Pinocchio”, legno, carta h 193×80 lg cm (2011)
Silvia Fazioli con le sue mani crea dei Pinocchio da favola, vivi e quasi umani, anche nell’aspetto iniziale – secondo il celebre racconto – che lo vede ancora burattino e prima ancora che la storia lo trasformi in un bravo bimbo in carne ed ossa. Il Pinocchio realizzato da Fazioli è un burattino che si muove da solo senza fili cui appendersi, personaggio sempre attuale, rappresentativo dell’indole umana, con le sue debolezze e le sue ingenuità, morfologicamente più vicino ad una marionetta (corpo di legno, presenza di articolazioni) al centro di famose avventure, il cui contenuto preserva una morale sempre attuale nel tempo. Egli è espressione di sregolatezza ma poi di grande saggezza; di ignoranza ma poi di voglia di sapere: è semplicemente come un bambino anche quando è ancora un burattino che però nel suo divenire umano assume connotati invidiabili anche da un adulto che sia capace di riflettere sul proprio comportamento. Ha una qualità rara: quella dell’autocritica per cui Pinocchio sbaglia ma poi sa anche pentirsi. Attuale e contemporaneo, Pinocchio con questi suoi grandi occhi verdi e vivaci, scoprirà pochi tra spettatori saggi come lui.
Titolo “Contrabbasso”, rete metallica, carta, acciaio armonico h 199x lg 66 cm (2011)
ll Contrabbassoè lo strumento più grande della famiglia degli strumenti a corda: come in tutte le storie che si rispettino le origini del contrabbasso non sono chiare, o meglio, esistono in merito varie teorie. A questa noiosa consuetudine si rifanno tutti gli strumenti musicali che vedono le loro origini perdersi nei tempi passati o più o meno recenti. In effetti, tutte le pubblicazioni di qualsiasi oggetto protagonista della storia musicale, riportano sempre studi e tutti degni di nota, che danno indicazioni assai diverse circa gli inventori o le nazioni se non le scuole che si arrogano l’onore dell’invenzione. Se nella letteratura Suskind già interpretava le fattezze dello strumento come fossero umane: “il suo senso della solitudine ebbro e desolato insieme, il gusto dell’assurdo che trasforma il contrabbasso in una figura femminile da abbracciare fra attenzione e disgusto”, perSilvia Fazioliil suo Contrabbasso rivela diversamente in tutta la sua geniale spontaneità: “una bellezza estetica suggerita dalle sue stesse curve, già così femminili” e che sopravvivono in quest’opera nonostante la più ironica e “dinoccolata” impostazione che la Fazioli ha saputo donare al Contrabbasso, che adesso si presenta “dall’aspetto amichevole e rassicurante della Tata di casa”.
NATALIA GAMBINO si interessa di fotografia già a 6 anni. Nel 2000 inizia il suo percorso esponendo in gallerie italiane europee ed americane, realizzando una ventina di mostre tra personali e collettive (sito web www.nataliagambino.it).
La sua ricerca si dilata nel tempo spaziando dai ritratti ai corpi umani alle architetture per poi dirigersi verso una nuova visione “distorta” della realtà che dal 2003 le permette di creare un suo “Mondo Parallelo.” Al momento NG sta lavorando ad un video di immagini sul tema della violenza sulle donne.
Titolo “Le sei fasi della vita” h113x100lg cm stampa fotografica su carta Cibachrome
Natalia Gambino presenta in mostra il tempo che scorre attraverso “Le sei fasi della vita”: il tema è una rivisitazione in chiave simbolica che dall’età dell’adolescenza prosegue nel suo susseguirsi schematico e dove le altre “fasi” ancora felici della vita di una donna, vengono scandite dal ritmico succedersi di questi stessi corpi nudi. Di essi, in modo più evidente i seni, inizialmente assumono i connotati di un’allegria vivace, con intuitivi rimandi a climi tropicali e delle sue piantagioni coloratissime e traboccanti di frutti maturi. Anche l’età della piena maturità viene di fatto ritratta dalla Gambino ricca di rara sensualità, nel rivelare la consapevolezza che la donna ha generalmente della propria bellezza, proprio a metà della sua vita. Il diverso scorrere del tempo viene suggerito dal mutare dei corpi e dalla scelta di rappresentarli nudi su vari livelli di un fondo privo di spunti naturalistici. Natalia Gambino ritrae le sei fasi di profilo, per evidenziare attraverso un forte realismo del modellato, la deformazione provocata dal tempo sul corpo. I nudi risultano piatti nel rilievo e fortemente illuminati dai toni del giallo delle fasi principali della vita, quasi ad evocare una dimensione sacra, una allusione alla futura maternità destinata a concludersi con l’avvilirsi anatomico della vecchiaia, non più fertile. Nell’opera di Natalia Gambino, il senso dell’allegoria si espande attraverso questo inevitabile scorrere del tempo, nel suo modificarne le forme fino al raggiungimento di una serena accettazione.
RAUL GRISOLIA si laurea a Roma in Storia del Teatro. Dopo aver studiato a Parigi con Jean Rouch ottiene il PHD a Aix en Provence con una tesi sui rapporti fra Cinema e Pittura nei film di Luis Buñuel pubblicata poi in Italia per Marsilio. Ottiene il titolo di Direttore di Ricerca in Cinema e Arte nelle Università Francesi. Ha insegnato presso le Università di Varsavia, Aix en Provence (Francia), Roma “La Sapienza”. Ha esposto le sue opere in Italia e all’estero. Nel suo percorso artistico influiscono suggestioni e interessi diversi, che lo spingono a sperimentare tecniche nuove e materiali differenti e a rifiutare il ricorso alla serialità. Sito web: www.raulgrisolia.it .
Titolo “Ala”, olio su ferro ossidato 210×24 cm (1997)
Raul Grisolia nei suoi lavori mantiene intatta la costante personale per cui “rifiuta il ricorrere alla serialità”. Nell’opera “Ala”, se la materia si esplica attraverso la sua evocativa consistenza tattile, anche il colore acquisisce una propria vitalità organica, in modo da rendersi complementari l’una all’altro, nel divenire entrambi il fulcro dello stesso discorso. In “Ala” si individuano mobili tarsie dalla vivida luminosità solare e mediterranea, che riportano alle origini Calabresi dell’artista, dove il colore si scompone in un tessuto dall’intenso e vibrante cromatismo. Già il titolo scelto per questa installazione suggerisce un senso di leggerezza, la stessa che evocano i frammenti poetici giocati su preziosi accordi di bianchi, grigi e rossi: l’artista nel suo abile adoperarsi nell’uso meticoloso del colore, a contatto con l’acciaio ossidato, ottiene risultati intimamente lirici, rivelatori di quella particolare sensibilità multimediale che non a caso si ricollega agli studi di Grisolia di “Storia del Teatro” e che lo hanno condotto alla nomina di “Direttore di Ricerca in Cinema e Arte” nelle Università francesi.
Titolo “Senza titolo”, tecnica mista su ferro ossidato 61×50 cm (1997)
In Raul Grisolia nel passaggio dalla sua installazione “Ala” all’opera “Senza Titolo”, si assiste ad un mutamento linguistico il cui racconto adesso si trasmette attraverso rimandi mitici, onirici ed evocativi di atmosfere, che inducono il fruitore a soffermarsi e a riflettere sul senso del tempo. Nel sogno, nella leggenda come nella fiaba, Grisolia esprime adesso la sua realtà, avvalendosi di simboli da decodificare, così come ogni piccola parte del mondo che egli rappresenta – o come in questa opera, soltanto accennata sullo sfondo con le imponenti colonne di antiche rovine – viene reinterpretata con forte intensità emotiva, arricchita dall’entusiasmo per una nuova scoperta. Al di là dei segni del tempo, in una dimensione costituita da spazi infiniti, Grisolia esplora avvalendosi del suo lavoro i luoghi remoti dello spirito umano e quelli in cui sono riposti i valori ancestrali, segnati dallo scorrere di un proprio tempo fantastico.
NICOLA GUERRAZ vive e lavora tra Roma Milano Parigi e Rio delaureato a Roma in Lettere Contemporanee e a Parigi presso Ancien Elève de l’Ecole du Louvre. Pittore scultore poeta, tra le maggiori esposizioni: Collegium Artisitcum Sarajevo; Tour Fromage Aosta; Museo Ara Pacis Roma; Galleria Ca d’Oro Roma; Fondazione De Chirico Roma; Bloomsbury Palazzo Colonna Roma; I° e II° edizione Ecofestival Frascati, Fabula in Art Complesso di San Salvatore in Lauro Roma.
Titolo “Ovali”,acrilico al quarzo su resine sintetiche 33x22x18 cm (2011)
installazione n°da 1 a 9
Titolo “Tu mi turbi.it”, acrilico al quarzo su resine sintetiche 64×33 cm (2011)
installazione unico pezzo
“Letterato: chi conosce e studia la letteratura non come scienza ma come arte, ed egli stesso fa opera d’arte” (vocabolario Zingarelli). Nicola Guerraz nasce letterato e si ritrova a vivere da artista, per – e – con la sua arte. Egli nel suo operare interpreta il proprio linguaggio ludico facendo riemergerne il vissuto, mentre persevera in lui una e una sola costante: la positività. Ma egli è anche amico della realtà nei suoi aspetti difficili e apparentemente insuperabili, ma gli evince non prendendosi sul serio. Ecco perché il tema dell’ovale, in una dimensione compresa tra la metafora e l’esperienza, che egli installa “come buttato là per caso, giocosamente” è come se rappresentasse nella sua instabilità formale, proprio quegli aspetti della vita meno prevedibili, ma di cui Guerraz è capace di mutarne i connotati. In questo o in altro luogo, gli Ovali arricchiscono colmando il vuoto e l’insipido scenario di un troppo diffuso pessimismo al ritmo di musica, unica alleata possibile nel potenziale cangiare degli umori umani.
GUIDO IANNUZZI lavora utilizzando immagini, video, testi, suoni e ogni mezzo che possa essere utile a rappresentare le sue idee le sue emozioni utilizzando immagini, video, testi, suoni e ogni mezzo a sua disposizione che possa essere necessario o utile a tal fine. La sua produzione perciò si identifica in un unica categoria di prodotti non omogenei. Tra le sue produzioni ricordiamo: Video di accompagnamento visivo per concerti di musica elettronica (Surya@Galleria Nazionale Arte Moderna, Rassegna off festival cinema Locarno, Forte Prenestino..), racconti fotografici (Mercedes Benz) Videoclip (Nightmare before Valentine, Mauser) videomonologhi teatrali (Santa Maria della Pietà, Compagnia NNU Berlin) mostre fotografiche (OR festival, via Savoia 69) vj set ed istallazioni video.
Titolo“Psychodiagnostik 1”, tecnica mista 250×130 cm (2011)
Sull’opera verranno proiettati dei video clips musicali realizzate ad hoc dall’artista.
Guido Iannuzzi lavora inesauribilmente senza tregua e se non lo fa manualmente è il suo intelletto a stimolarne la produttività, già pronto verso ulteriori sperimentazioni: egli distacca dal mondo esterno la propria coscienza e realizza forme astratte che danno l’illusione di contemplare un messaggio, sempre diversamente interpretabile, mentre ci si trova di fronte ad un fenomeno molto più simile alla variazione musicale intesa in senso jakobsiano. Staccandosi dalla temporalità legata agli oggetti, sia che essi siano virtuali che reali, Iannuzzi abbandona lo spirito nel suo muoversi libero, distante dallo scorrere del tempo quotidiano: egli vive in limbo che non è altri che la personale attitudine psichica ma che si materializza in una predisposizione indispensabile per cui percepire la forza delle immagini da lui prodotte (e riprodotte in video) e di coloro che osservandole vi interagiscono.
L’artista con questa installazione dal nome onomatopeico “Psychodiagnostik 1” da al tempo un’accezione infinitesimale che trova giustificazione nella quantità di sollecitazioni che ad essa si sovrappongono.
PIETRO PERRONE nasce il 20 luglio del 1956 a Diamante (CS), Italia. Si trasferisce a Roma dove completa gli studi all’Accademia di Belle Arti. Attualmente vive e lavora tra Maccarese e Roma. Espone per la prima volta a Roma nel 1985 a Roma nella Galleria la Salita e contemporaneamente a Siena nella Fortezza Medicea. Da allora ha esposto nelle maggiori città d’Europa e nel; Bari, Torino, Alba,Genova, Salerno, Milano,Mantova, Latina, Biella, Praia a Mare, Savona, Torrempietra, Catania Cosenza, Ferrara, Verona, Mantova. Contemporaneamente espone in Europa e in altre città internazionali: Nizza, Gandia (Spagna), Parigi, Graz (Austria), Innsbruck, Rabat, Tunisi, Il Cairo, Madrid; Lisbona, Pechino.
Titolo“Ti regalo un cielo”, olio su tela su supporto rigido 108×23 cm (2010)
Pietro Perrone con quest’opera vuole davvero regalare un cielo a qualcuno. L’affermazione di per se è già un trapelare di rara generosità, il desiderio entusiasta del concretizzarsi dell’intenzione che scaturisce da uno stato emotivo di pieno appagamento, per cui ci si sente pronti e disponibili per trasmettere la stessa emozione a chi ci è vicino, fisicamente o solo intellettualmente. La spinta poetica è un punto fondamentale della sua azione creativa, soprattutto se espressa attraverso l’intima individualità e se figlia delle proprie emozioni affettive. Perrone è attento al proprio lavoro, preservandone la vera essenza: in “Ti regalo un cielo” risiede l’affermarsi dell’animo di un artista, la cui identità trova riscontro nel libero arbitrio, chiaro e limpido, proprio come questo cielo senza nubi, simbolo di un tempo coerente e incontrastabile. Perrone è sempre pronto ad accogliere le infinite possibilità che gli vengono offerte durante l’appassionato esercizio creativo, senza aggirarne confini pertanto inesistenti, senza perseguire regole stabilite da altri, ma piuttosto dando ascolto al pulsare ritmico delle proprie intuizioni: tutto questo nel rispetto di un libero approccio che Pietro Perrone va stabilendo tra l’opera d’arte e il suo pubblico.
ELENA PINZUTI è nata a Piancastagnaio, Siena il 5 maggio 1959.
Ha frequentato a Perugia l’Istituto D’Arte e a Roma L’Accademia Di Belle Arti dove vive. Espone da alcuni anni le sue opere caratterizzate da un carattere fortemente emozionale ed espressionista che si inserisce nella storia della pittura che va da Egon Schiele, Francis Bacon, Jenny Saville.
Titolo “Assolo”, olio su tela 48×27 cm (2010)
Titolo“Assolo (notturno)”, olio su tela 48×27 cm (2011)
Elena Pinzuticrea un binomio tra sperimentazione tecnica e dato formale, restando fedele alla sua trama letteraria per cui ricerca il mezzo più persuasivo per raccontarla: l’artista si avvia per un percorso immaginario proiettivo e percettivo, nella creazione di spazi impalpabili sempre diversi. Il colore è dato secondo tonalità pure e limpide che sovrapposte o accostate suggeriscono quello stato di mutazione in atto, il cui evolversi pare fermato e sospeso per un istante in uno spazio atemporale e fluttuante. Sono corpi sorpresi in atteggiamenti naturali quelli dipinti dall’artista, dai contorni strutturati ed arginati da solidi tracciati, scanditi dalla forza cromatica e che adesso occupano il vuoto delle tele con un aerea leggerezza. L’equilibrio che si riscontra in questi corpi nudi, dove il segno di Elena Pinzuti riemerge contratto ed essenziale su superfici svuotate dalla presenza di altri elementi, vibra di una luce che rivelandosi intrinseca a tutta l’opera, sia nell’ “Assolo” rosso che nell’ “Assolo bleau (notturno), pare avvolgerne i soggetti fino ad elevarli ad un impalpabile tempo metafisico. In entrambi i lavori, si avverte la trasposizione su di un piano di sintesi decantata di un qualcosa che è dentro e intorno all’essere umano non solo allo stato cosciente. Si recepisce la proiezione ferma ed evocatrice che la Pinzuti adopera in una sorta di meditazione sul destino dell’uomo, sulla temporalità caduca del proprio agire e del suo medesimo esistere. Una meditazione talvolta dolente e anche elegiaca, ma mai veramente pessimistica perché illuminata dalla fede trasmessa dall’artista, per una realtà superiore a cui affidarsi nella comprensione degli avvenimenti contingenti.
CORNELIA STAUFFER nasce a Berna in Svizzera. Vive a Maccarese vicino Roma e nel 2006 soggiorna in Engadina, Werke junger Künstler, St. Moritz, Svizzera. Nel 1999 soggiorna nuovamente a Vienna, ospite del Bundeskanzleramt für Kunst, Austria. Dal 1990 è residente a Roma e tra il 1980 e il 1990 effettua numerosi viaggi che la vedono impegnata nella realizzazione di diari illustrati e reportage fotografici. Tra il 1984-1986 studia danza contemporanea con il coreografo Kurt Dreyer alla Kunsthalle Luzern, al Stadttheater Luzern e in varie città Svizzere. Dal 1980 al 1985 frequenta il corso di studio di Storia dell’Arte all’Università di Berna e si laurea alla Hochschule fuer Gestaltung di Luzern (Accademia Statale Belle Arti).
Titolo“Clessidra;plastica diventa pane”, collage: matita, matita colorata su carta su tela cm. 56×67 (2009); bozzetto dell’opera grande 185×250 cm esposta al Castello di San Giorgio (Maccarese, Rm).
“Vorrei calare tutte le mie energie nella terra che calpesto giorno dopo giorno, radicarmi come fa una pianta. (….)”. Queste le parole dell’artista Cornelia Stauffer per cui è facile immaginarla mentre le sue mani agiscono sulla carta con la matita in mano, o sulla tela con i pennelli, in assoluta libertà, mossa da un entusiasmo interiore, attraverso i percorsi che appartengono al suo modo di interpretare la vita su questo pianeta. Nel suo lavoro l’artista sovrappone visioni di più ampie prospettive agresti, al susseguirsi di complete fusioni fra l’elemento umano e quello naturale, così come dei valori atmosferici e della loro capacità di influenzare i valori esistenziali dell’umanità. Cornelia Stauffer osserva il mutare del paesaggio lavorando nel suo studio alle porte di una città vivace e caotica come Roma: vicino al mare e al sapore di salsedine che la raggiunge trasportato dal vento; non lontana da distese di campi coltivati o dove gli animali vengono lasciati liberi al pascolo. Natura e struttura si combinano in lei attraverso i suoi disegni, in un impellente rapporto dialettico tra la terra, che fertile dona i suoi frutti, e chi non li sa cogliere, anche in senso metaforico. Cornelia Stauffer traduce in “Clessidra; plastica diventa pane” con perfetta precisione geometrica, le masse di rifiuti in plastica prodotti dall’uomo, i cui volumi sapientemente, così come sommessamente, ella riproduce su altri piccoli frammenti di carta nello stesso disegno. L’artista elabora uno stile che valica quello tradizionale del disegno a matita e che trova una personale risoluzione oggettiva e distaccata della realtà: ove l’elaborazione dei piani può variare, così come la densità dei colori, senza peraltro compromettere l’ordine naturale delle cose.
FLAMINIA VIOLATI disegna e dipinge da sempre. Per alcuni anni ha lavorato presso lo studio della pittrice Maria Luisa Iannetti. Dal 2003 si è avvicinata alla scultura, iniziando a frequentare lo studio della zia, la scultrice Paola Violati, dove attualmente ancora lavora e insegna la lavorazione della creta. Nel 2004/2005 ha frequentato lo studio dello scultore Peter Rockwell. Ha inoltre realizzato gli acquerelli per la raccolta di racconti ‘Una camicetta di seta rosa pallido’ della scrittrice Francesca Crisi. Ha esposto presso la Galleria della Pigna, la Galleria 196 e attualmente lavora con la Galleria Il Sole Arte Contemporanea. Vive e lavora a Roma.
Titolo “Sehr Langsam, Pina”, tecnica mista cemento su rete elettrosaldata 100x200cm (2011)
Variazioni sul tema dal significato “molto lento” così come per gli accordi musicali, è ciò che nella produzione artistica di Flaminia Violati ci viene suggerito nell’originale coordinazione di materiali, in questo caso il cemento e il metallo, che pur nella loro semplicità e nei rimandi al mondo operaio degli imponenti cantieri metropolitani, si subliminano qui in quest’opera in un sentimento contemplativo dedicato all’ascolto così come alla fruizione del pubblico. Il tessuto pittorico alla base dell’opera, si impoverisce della sua iniziale luminosità e definizione nel tratto, per lasciarsi compenetrare e completare dall’intervento del cemento lavorato in bassorilievo, supportato adesso non più dalla tela ma dalla rete di ferro a maglia stretta, già montata su quella elettrosaldata. L’artista così da vita ad una ballerina, Pina – il cui nome suggerisce note assonanze con la celebrità raccontata da Wim Wenders proprio in questi giorni nelle sale cinematografiche – perseguendo nel disegno prima e successivamente nell’assemblaggio della materia, la costante della bellezza (classica) oltre che di una struttura corporea in movimento: il suo corpo vibra, nonostante abiti uno spazio volutamente circoscritto e sempre a tempo di musica, in questo articolato arabesco nel suo divenire sehr langsam . Flaminia Violati rappresenta la musica e il suo spirito in una scrittura dove l’armonia, il ritmo , il tempo e il movimento prendono forma: l’artista traduce l’emozione musicale e la trascrive prima graficamente per poi realizzare una diversa scrittura plastica come il risultato finale, frutto di quella personale inventiva evolutiva.