Storie che si prendono per mano di Tamara Cavallucci.
Nella cultura orientale si tramanda una bellissima frase idiomatica giapponese “Il suono degli occhi”, così ponendo attenzione al senso della vista ma in un modo diverso, sottolineando la possibilità di comunicare con le cose e le persone anche solo con lo sguardo, omettendo il suono di tante parole spesso inefficaci.
Le fotografie di Tamara Cavallucci esposte in questa sede evocano anch’esse il risveglio di un nuovo punto di vista che, rafforzato dal sodalizio tattile in cui i segni delle mani rivelano il vissuto di ciascun protagonista, si fa portavoce di culture distanti tra loro, oltre che di diverse tradizioni e religioni.
Sono tutte “Storie che si tengono per mano” a cui Tamara Cavallucci ha teso per prima la sua, per poi immortalarne molte altre iniziando con una Nikon D 70.
Osservandone gli scatti, ci si trova di fronte ai frame selezionati dai diversi reportage di viaggi passando dalla Birmania all’India fino in Mongolia, ma anche a immagini scattate per caso in città italiane e che colpiscono per la consequenzialità che lega queste foto tra loro, pur nell’estrema varietà di ricerca. Si tratta di mani di gente comune, di uomini e talvolta di bambini, di
donne che compiono lavori artigianali per cui la manualità è un fattore indispensabile così come sorprendentemente impresso nel dna trasmesso di generazione in generazione. Mani di popolazioni le cui culture appaiono così distanti dalle nostre e che, immortalate dagli scatti di Tamara Cavallucci, documentano un tempo appena trascorso e già carico della forza di un capitolo di Storia, raccontato tra i banchi di scuola. Sono fotografie, alcune, scattate con appena 6 mega pixel: sono il frutto di una schiva acutezza con la quale la nostra artista, oltre al soggetto così meticolosamente inquadrato, è capace di evocare tutto quel che intorno si anima di una vita propria, momentaneamente assente nel suo fisico esserci, ma di cui è possibile percepirne alcuni segnali sottili. Proprio come lo sono le venature di certe mani che, oltre a quel frammento, avrebbero molto ancora da raccontare: dunque “Storie che si prendono per mano”, così come la mano di Tamara Cavallucci, intrepida e passionale, non si stanca mai del suo lavoro lasciando che il tempo scorra nuovamente e libero, fino a raggiungere quei meandri scavati nella pelle sottile, dove inevitabilmente lascerà ancora altri segni. Un tempo tuttavia magico, dal quale si lascia trasparire l’entusiasmo di Tamara per la fotografia, quale mezzo naturale con cui diffondere i propri impulsi reconditi che coinvolgendola durante il suo operare, finalmente sviluppano, come entro le 4 pareti della camera oscura, nella tenacia concreta del proprio spirito libero e creativo.
La forza di quest’artista sta proprio nel sapere descrivere l’attimo e nel suo evocare una visione d’insieme che, discreta ma determinata, si impone con energia esplosiva sotto lo sguardo rapito dei fruitori.
L’artista attua un’analisi di luoghi e circostanze che difficilmente verrebbero messe a fuoco da questa umanità distratta, vittima involontaria di un caos circostante. Eppure, se si osservano le fotografie di Tamara Cavallucci, è possibile scorgere la delicata convivenza tra le testimonianze di una memoria – apparentemente lontana – avvolta da un’aurea di misterioso silenzio che stimola l’osservatore ad andare oltre e altrove, alla riscoperta di culture e di mestieri tramandati, con la familiarità di certi gesti di vita quotidiana, spesso raccontata attraverso l’operosità ingegnosa di mani alle prese con lavori ove la precisione è un fattore necessario e indispensabile, ma troppo spesso trascurato. Sono tutte immagini intrise di colore, ritmo e materia da cui traspare l’interesse di Tamara per lo spazio, la luce e il movimento. Qui si fa protagonista il realismo sotteso alla tecnica fotografica come l’unica capace di esprimere la realtà e non per questo eterna e immobile ma all’opposto, in continua evoluzione nel rispetto di ciò che essa potrà continuare a ritrarre in fatto di contenuti e forma insoliti.
“…dalle mani esce fuori il genio, la praticità, la sensibilità, la precisione, la forza, gli affetti. Spesso parlano più delle parole, esprimono più di un volto e riassumono in un gesto il loro mondo”. Sono le parole di Tamara che con i suoi scatti narra una storia, fatta di odori, profumi ed emozioni inaspettate, proprio come queste inquadrature di gesti mai esplorati tanto in profondità.
Ci si ritrova ad ascoltare un racconto, dove la gestualità delle inquadrature è sempre il punto di riferimento come la vera compagna di questo viaggio inedito, condotto per mano dall’abilità di un’artista pura come Tamara Cavallucci.
Miriam Castelnuovo
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